La camorra impera, la politica sta a guardare

Pietro Mancini

Tutti, da Napolitano a Prodi, da Amato a Minniti a Mastella (lo statista di Ceppaloni e padre dell’indultone di cui hanno beneficiato gli assassini dell’edicolante del Vomero), in questi giorni tragici piombano a Napoli, capitale del Sud e dei suoi drammi. Una splendida città, che fece esclamare ad Albert Camus: anche un ragazzo povero, con il sole e il mare, può essere felice.
In questi giorni il presidente del Consiglio si è consultato a lungo con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che nella città di Croce, De Nicola e Compagna è nato, come gli altri ex ministri dell’Interno napoletani Antonio Gava, Enzo Scotti e l’attuale sindaco, donna Rosetta Iervolino. Oggi Napolitano è contrario all’invio dell’esercito, a cui invece, da ministro dell’Interno del primo governo Prodi nel 1997 diede disco verde. Anche l’attuale prefetto, il dottor Profili, nel marzo di quest’anno aveva infelicemente così esternato: «Cari napoletani, proteggetevi da soli».
L’importante è che non si perda altro tempo, in discussioni astratte e bizantine, mentre la camorra spietatamente uccide e spadroneggia e gli osservatori più pessimisti allargano le braccia. Si passi dunque, con operosità e intelligenza, dal generico ottimismo di maniera manifestato da Prodi alle proposte - come quella di affidare i pieni poteri anti-boss all’ex procuratore, il dottor Agostino Cordova, prima promosso e poi cacciato dalla sinistra - senza quelle polemiche astiose e sterili come gli attacchi all’esternazione, senza peli sulla lingua, del senatore leghista Roberto Calderoli, e dalle analisi alle soluzioni concrete.
Una certezza ci sentiamo di manifestarla: la salvezza e il rilancio di Napoli, come di tutto il tormentato Sud, non potrà realizzarsi, se i partiti non saranno capaci non di tornare al passato ma di selezionare una nuova, più qualificata e più capace classe dirigente. Finora, i partiti, nel Sud, a Napoli, e anche in Calabria, nella delicata fase del dopo Fortugno, non hanno fatto quanto si attendevano i cittadini onesti, non procedendo alla indifferibile pulizia interna e al profondo rinnovamento.
Napoli è in crisi, perché, ormai da tempo, i problemi del Mezzogiorno sono spariti dall’agenda del governo, delle grandi centrali sindacali, della Confindustria, della stampa nazionale e delle più rappresentative forze politiche. E, ormai da decenni, il Sud non esprime personalità di alto livello, credibili, rispettate, in grado di farsi ascoltare, non solo nelle loro regioni, ma anche e soprattutto a Roma, in Parlamento e nelle stanze dei bottoni. Lo ha ammesso, di recente, anche un vecchio leader storico del Pci, Emanuele Macaluso: il nodo non è solo l’ordine pubblico, ma è soprattutto politico. Oggi si avverte una quasi drammatica carenza di classi dirigenti, e gli attuali big non riescono a proporre la questione meridionale con autorevolezzza, battendo i pugni sul tavolo, e si limitano a postulare, con il cappello in mano, finanziamenti e sovvenzioni davanti ai responsabili delle grandi industrie e dell’esecutivo.
Ben vengano, dunque, a Napoli, i mille uomini delle forze dell’ordine in più.

Ma l’ormai lunghissima nuttata, di cui parlava il grande Eduardo De Filippo, non finirà presto: qualora il piano di Prodi si dovesse, ancora una volta, muovere nella triste e avvilente prospettiva della ennesima pioggia di fondi pubblici, destinati a non sfuggire al controllo degli abili maneggioni del sistema di potere, noto come il «bassolinismo», che ha compresso e annullato la dialettica democratica nei partiti, in primo luogo nei Ds, mortificando ed escludendo da ogni decisione il mondo della cultura e le energie più vive della società civile.

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