Candide, la satira graffia la Scala Voltaire a metà tra musical e cronaca

Non fa scalpore la scena dei potenti in costume. Emozionano le musiche di Bernstein e la recitazione di Lambert Wilson

Candide, la satira graffia la Scala Voltaire a metà  tra musical e cronaca

da Milano

Assurdo. Voltaire il grande scrive nel Settecento un romanzo satirico contro chi cerca l’ottimismo ad ogni costo nella filosofia: il precettore Pangloss cerca di convincere il giovane Candide che questo è il migliore dei mondi possibili, ma attraversano insieme tutte le traversie possibili: sguardo disincantato sul mondo e satira profonda a chi lo regge e anche a chi lo vive in genere. Nel 1956 Hugh Wheeler si accorge che la storia sta benissimo in piedi in ogni tempo, e la fa diventare una pièce teatrale; per le musiche delle canzoni, degli insieme, di tutto quanto fantasiosamente viene inserito, c’è addirittura Leonard Bernstein, il quale è già un direttore di fama mondiale, con la musica si diverte, da impertinente genio e raffinato amante d’ogni tipo di bellezza. Poi, ai giorni nostri, Robert Carsen e Ian Burton si accorgono che c’è dentro, o ci può stare, la storia dell’America dei nostri anni, e ne fanno una cosa che ha la leggerezza suprema del musical e la capacità di strizzare l’occhio alle amare verità quando meno ce lo aspettiamo.
In mezzo a tutte queste cose, c’è un momento in cui gli uomini al potere vengono raffigurati in un cinico balletto in un mare di petrolio; come bagnanti felici. L’immagine passa alle cronache, e si comincia a discutere se la satira non sia troppo forte, se non ci sia profanazione degli Stati. Voi penserete che è per l’accusa ai capi di Stato di non accorgersi dell’orrore della guerra portata per interessi economici. No: la polemica si fa sul fatto che, dovendo fare il bagno, sono rappresentati in mutande. Per mesi, di questo delizioso capolavoro teatrale e musicale si pone l’attenzione solo sui costumini dei potenti.
La rappresentazione alla Scala, per chi ci va, restituisce le proporzioni. È un divertimento amaro, degno della grande satira. La leggerezza di mano del regista permette di giocare con il paradosso senza giustificazioni, due personaggi morti che si reincontrano possono rimandare tranquillamente la spiegazione del fatto a un dopo che non c’è; la buona casa della buona famiglia può diventare la Casa Bianca, e possiamo incontrare tutti i personaggi della storia americana che abbiamo conosciuto negli ultimi anni.
La cosa straordinaria è la costante semplicità con cui viene messo in scena un virtuosismo rarissimo ed elegante: Anna Christy può cantare la nota aria piena di ricami sovracuti recitando trasportata e fatta ondeggiare a braccia da ballerini impeccabili; Lambert Wilson può sdoppiarsi nella parte del precettore, che come tutti gli altri recita in inglese, e di Voltaire che, in abito settecentesco, ci racconta la storia in italiano; quanto a Candide, William Burden, con la sua voce tenera e la disinvoltura del finto impacciato, può suscitare nei bellissimi songs una tenerezza e il dubbio che qualcosa di altamente sincero ci sia dentro alle pieghe dei personaggi. E c’è una spassosissima Kim Criswell.

Si viaggia a un grande ritmo, John Axelrod governa personaggi e orchestra come se navigasse nelle acque di casa. Nella seconda parte il copione perde di continuità, ma ha lo spettacolo ha ancora momenti alti. Il pubblico resta contento e deliziato.

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