Se quando date da mangiare ai vostri amati cani e gatti, loro vi guardano felici, un po' è merito suo. Di Baldassarre Monge.
Ottantacinque anni vissuti «bestialmente», avverbio che nel suo caso non è un'offesa, ma una medaglia da appuntare sul petto. Il fondatore ne è orgoglioso, ricordando gli inizi di quello che è oggi il Gruppo Monge: una realtà industriale che sta al «pet food» come la Ferrero sta alla Nutella.
Nel suo stabilimento-modello e supertecnologico a Monasterolo di Savigliano (Cuneo) non c'è giorno in cui il decano non segua i lavori con l'affetto del pater familias e il piglio del manager di lungo corso. Un mix di sentimento e capacità imprenditoriale che ha creato attorno a Baldassarre un'aurea di meritato rispetto; stima guadagnata tra i reparti, non dietro una scrivania.
Baldassarre supervisiona tutte le aree (produzione, controllo qualità, ricerca sviluppo, logistica, marketing e direzione) con l'entusiasmo si chi non si sente arrivato, ma in continua crescita. Una squadra di 300 professionisti, 120 venditori, confezioni distribuite in oltre 80 paesi del mondo, anche se il mercato in Italia garantisce il 7-80% del fatturato (circa 140 milioni di euro all'anno).
Nella squadra-Monge la simbiosi tra «capitano» e «giocatori» è perfetta. Tanto che nel giorno del suo 85esimo compleanno, il team al gran completo ha dedicato al suo leader una pagina d'auguri sui principali quotidiani. Vi appare l'immagine di un signore in bicicletta con in mano un ombrello.
In calce, un testo da libro Cuore: «La vita di un uomo è una fantastica storia! Oggi è un giorno speciale! Il nostro fondatore festeggia il suo 85esimo compleanno. Auguri da tutti noi che viviamo insieme a te questa fantastica storia. Buon compleanno Baldassarre!».
Scusi commendator Monge, ma perché nella foto di auguri tiene un ombrello in mano? Teme i «rovesci» della concorrenza?
«No. I migliori siamo noi».
E allora, quell'ombrello?
«Forse nel giorno della foto pioveva...».
E la bicicletta?
«È il mio mezzo di locomozione preferito».
Torniamo agli animali. Ma cani e gatti domestici non rischiano di essere troppo «umanizzati»?
«Ha ragione. Anche io diffido di quei padroni che trattano i loro amici a 4 zampe come fossero persone».
Amare gli animali va bene. Ma senza mettergli babbucce, fiocchetti e cappottini.
«Sono d'accordo. Tempo fa vidi una signora con una carrozzina. Mi sporsi per ammirare il neonato. Ma sa cosa c'era nella carrozzina?».
No.
«Un cucciolo di cane».
In rete ci sono varie foto di lei con in braccio dei cuccioli di cane.
«In famiglia abbiamo tutti un debole per i cani. Proprio poco tempo fa è morto un mio amico e io ho adottato i suoi due cani. Sono capaci di un affetto disinteressato davvero commuovente».
Oltre ai cani del suo amico, ne ha altri?
«Il nostro stabilimento è su una strada molto trafficata. Capita spesso che veda attraversare, pericolosamente, dei cani randagi. È più forte di me: devo salvarli. Poi finisce che mi affeziono e li tengo con me per sempre».
Lei viaggia spesso, quando è via sente la loro mancanza?
«Certo. Ma anche loro sentono tantissimo la mia mancanza. Una volta, tornando da una trasferta negli Usa, i familiari mi accolsero con entusiasmo, ma il cane saltò addirittura sul cofano dell'auto per farmi le feste. Una scena indimenticabile».
Gli animali aiutano gli anziani a sentirsi meno soli.
«Vero. A volte si instaura un rapporto fortissimo. Un amico bottegaio mi ha confessato che tra i suoi clienti c'è una vecchina. Lei purtroppo ha una pensione minima, ma preferisce spendere più soldi per il cibo del suo 4 zampe che per se stessa».
I cani sono fedeli amici anche dei mendicanti.
«Uno di loro mi ha detto che quando chiede l'elemosina con a fianco il cane, guadagna il triplo di quando è da solo».
A proposito di beneficenza, i ricchi dovrebbero aiutare i poveri?
«Chi ha la fortuna di avere grandi disponibilità economiche dovrebbe sentire il dovere - e il piacere - di dare una mano a chi è più sfortunato».
È vero che cani e gatti possono diventare obesi?
«La colpa è dei padroni che non li alimentano con giusta quantità e qualità».
Scommettiamo che, secondo lei, il cibo al top è quello griffato Monge?
«Il responso viene dai dati di vendita e dal gradimento dei clienti. Mai ricevuto proteste. Usiamo solo carne, pesce e materie prime di ottima qualità».
Se le dico «crocchetta» a cosa pensa?
«Penso alle nostre crocchette. Buone e nutrienti. Gli animali, nella ciotola, non puoi prenderli in giro: capiscono subito se i bocconcini che gli dai sono buoni o cattivi».
Tutto cominciò nel 1963, grazie a una sua intuizione rivoluzionaria.
«Il pet-food fu una grande scommessa che introduceva in Italia un nuovo modo di rapportarsi con gli animali domestici».
Era un Paese in trasformazione. E si cominciava a pensare anche al benessere dei propri amici a 4 zampe.
«Gradualmente essi diventano parte integrante del nucleo familiare, ricevendo sempre più cure e attenzioni».
La vostra innovazione più importante arriva negli anni '70.
«Siamo stati i primi a produrre il wet food?».
Ossia?
«Il cibo umido. Inoltre abbiamo introdotto le lattine con il sistema easy open, per l'apertura facilitata. Una novità che negli Stati Uniti non ha mai attecchito».
E per quale ragione?
«I gestori dei supermercati americani temono che la gente compri la carne, poi vada in bagno, apra la confezione e ne mangi il contenuto».
Addirittura.
«Negli Stati Uniti accadano cose strane».
Arriviamo agli anni '90.
«Sul mercato lanciamo i bocconcini cotti al forno. Un successo strepitoso».
La buonanima di suo padre, Domenico, sarebbe orgoglioso di lei.
«L'avventura iniziò con un coraggioso no alla tessera del Partito Nazionale Fascista. Una storia che ancora oggi mi commuove».
Ce la racconti.
«Papà, dopo la sua opposizione al Duce, fu licenziato dalle Officine Savigliano, che producevano treni. Ma non si demoralizzò. Trasformandosi in commerciante di polli».
Dai polli di papà, passiamo ai polli del figlio Baldassarre...
«Una notte, 50 anni fa, un mio cane stette molto male. A quell'epoca, non c'era un gran numero di veterinari in zona. Lo portai a Torino».
Ma che c'entra il suo cane con i polli?
«Mi faccia dire...».
Scusi.
«Sul tavolo del veterinario il cane era praticamente inerme. Il medico gli somministrò le cure. Dopo giorni si riprese».
E i polli?
«Il veterinario mi chiese di portare al cane delle ossa di pollo per sostenerlo nella convalescenza. Ero pollivendolo. Avevo seguito le orme di mio padre. Da quell'esperienza, al veterinario cominciarono a interessare i miei scarti».
Fu l'inizio del business.
«Da Monasterolo, gliene portavo 10 kg la settimana. Un giorno, però, la moglie del veterinario mi disse che faticava tanto a triturare le ossa. Cominciai, dunque, a farlo io».
Business doppio.
«Mi resi conto che poteva diventare un'attività organizzata e avere un suo mercato: vendere frattaglie di pollo tritate per gli animali della gente di città, che aveva abbandonato le campagne e che aveva cambiato le proprie abitudini di vita, riservando maggiore attenzione ai quattrozampe».
Anche per lei era giunto il momento di fare il salto qualitativo.
«Iniziai infatti a comprare frigoriferi usati dalla Motta. Li vendevano a poche migliaia di lire».
Frigoriferi? Per fare cosa?
«Per congelare la carne tritata destinata alla vendita».
E poi quale altra diavoleria si è inventato?
«Il passaggio successivo fu quando cominciai a mettere, a mano, insieme a mio figlio Domenico (nome scelto in onore del nonno, ovviamente ndr), la carne nelle vaschette».
Cosa fa oggi in azienda?
«Giro, guardo, faccio apportare modifiche. Ma la mia presenza nei reparti testimonia soprattutto la vicinanza della proprietà a tutta la filiera dei lavoratori».
Secondo lei sono più buongustai i cani o i gatti?
«I gatti, senza dubbio».
La sua è un'azienda familiare: come si resta uniti?
«Il collante è la passione e la capacità imprenditoriale. Bisogna poi rimanere con i piedi ben piantati per terra e mai rinunciare alla ricerca e allo sviluppo. Se chi, dopo di me, saprà mantenere queste caratteristiche, l'azienda crescerà ancora».
Qual è stato il suo primo investimento?
«L'acquisto della casa. La casa è il cuore dei tuoi affetti più cari, è li che ritrovi i valori che davvero hanno importanza».
E il suo secondo grande acquisto?
«La tomba di famiglia, a Monasterolo, con 10 loculi».
Meglio essere previdenti...
«Io ormai ho una certa età. A tutti gli altri parenti auguro una vita lunga e piena di soddisfazioni come quella che ho avuto io».
La sua migliore qualità?
«L'onestà. I furbi li detesto».
Il vero capitale di un'azienda?
«Innanzitutto i dipendenti: se non ci fossero stati i miei dipendenti, l'azienda non sarebbe diventata ciò che è oggi. Poi, a pari grado, i clienti».
Come si ottengono quote di mercato?
«Con umiltà. La prepotenza non vince mai».
L'intera dinastia Monge è impegnata in azienda.
«Tutti gran lavoratori. A cominciare da moglie e figli, due femmine e un maschio. Con loro sono stato molto fortunato».
Per non parlare dei nipoti
«Anche loro lavorano qui. Sono in gamba».
L'insegnamento principale?
«Il rispetto per gli altri, l'amore verso la propria attività e la competenza».
Già, la competenza. Ora se non sei laureto non vai da nessuna parte.
«Ho creato un'azienda avendo solo la quinta elementare. Ma i tempi sono cambiati. Ora è giusto che i giovani si specializzino il più possibile».
Un recente riconoscimento aziendale che le ha fatto piacere?
«Da quest'anno l'Ucis (Unità Cinofile Italiane da Soccorso) ha scelto i prodotti Monge per nutrire i suoi eroi a quattro zampe che salvano tante vite umane».
Per i bimbi malati la pet-therapy è di grande aiuto.
«Per questo abbiamo deciso di sostenere un'iniziativa della Fondazione Meyer a favore dei bambini ospiti dell'Ospedale Pediatrico di Firenze».
Qual è il suo rapporto con la fede?
«Mi limito a dire che, se si legge la storia di alcuni papi, non viene granché voglia di entrare in chiesa».
Crede nell'aldilà?
«Mah».
Ci sarà un paradiso anche per cani e gatti?
«Non lo so. Intanto, finché vivono sulla terra, si gustino le mie crocchette».
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