Tremano e pregano la Madonna tutti i giorni che il Signore manda in terra portando dentro la chiesa della Consolata un dono per ottenere clemenza. Una processione di assessori, amministratori e sindaci. Tutti in fila impettiti con la candela in mano e fascia tricolore sulla spalla a chiedere il miracolo. E pazienza se non vi piace questa immagine, potete scegliere quella che preferite, il sindaco Sergio Chiamparino che fa gli scongiuri davanti al suo segretario, gesti apotropaici dell'assessore all'ambiente, toccatine sul cavallo dei pantaloni del presidente della Provincia Antonio Saitta: perché stiamo parlando di una provincia intera, quella di Torino, che trema al pensiero di trovarsi improvvisamente tra l'incudine e il martello, strangolata da un lato da rincari sulla tassa rifiuti, o in alternativa sommersa dalla spazzatura.
Tutto ruota intorno a una storia molto italiana. Paradossi burocratici e dispetti, ripicche tra correnti dei partiti e sciatteria. Torino in questo caso fa scuola, è capofila di una tradizione di trabocchettisti di professione lunga quando la fedina penale di Al Capone. Ma qui il bandito non c'entra. Tra un dispetto e l'altro, tra sbandate ideologiche e testimonianze ambientaliste assortite, si è creato un buco. La gigantesca discarica di Basse di Stura il 31 dicembre chiuderà. O meglio: dovrebbe chiudere secondo quanto stabilito dall'amministrazione a partire dalla fine degli anni '90.
Ma il ritardo nella realizzazione dell'inceneritore che ha già accumulato 11 mesi rischia di mandare tutto all'aria. Eccolo dunque il buco. Un buco di tempo. Un buco che potrebbe mandare a carte e quarantotto i piani della città.
L'ipotesi, per di più, di un ulteriore carico di ritardo con conseguente allungamento dei tempi, prende corpo ogni giorno che passa da quando al Tar pende il ricorso presentato dalla cordata di imprenditori di Tme arrivati secondi alla gara indetta lo scorso anno. Se fosse accolto i giochi si complicherebbero più di quanto non lo siano già. La decisione è attesa a giorni. Un tramestio di piedi di assessori e sindaci fa scricchiolare non solo il parquet di palazzo civico in un nevrotico via vai per scacciare il problema di torno. No. Il tramestio è dovuto soprattutto all'incertezza di garantire un ciclo dei rifiuti a prezzo contenuto.
In questi giorni è stato lo stesso sindaco, del resto, a non fare mistero che un eventuale rincaro della Tarsu, a causa della chiusura della discarica e la mancata accensione dell'inceneritore (che sarà pronto se tutto andrà bene soltanto nel 2012 dopo 14 anni di discussioni) potrebbe sfiorare i 40 euro a testa. Apriti cielo. E' stata ipotizzata così una proroga che potrebbe far risparmiare 6 milioni sul conferimento nella galassia di discariche provinciali, consentendo allo stesso tempo ad Amiat di chiudere il bilancio se non in rosso almeno in rosa. Ma anche questo non allontanerà lo spettro del caos. La discarica potrebbe accogliere al massimo laterizi, terra, materiale di scavo, e non sacchetti di spazzatura con materiale organico. C'è una vasca da 250mila metri cubi, ma non basterà. Perché i patti sono chiari. La discarica va chiusa quest'anno. L'ha promesso il sindaco. E gli abitanti del quartiere protestano. Sono già scesi in strada. Questo è il secondo buco, i voti che potrebbero passare da una parte all'altra alle prossime elezioni regionali del 2010.
Il quartiere raccoglie un bacino di 20mila persone e più di uno su due, potenzialmente, è un elettore della coalizione di centrosinistra. Nessuno può concedersi il lusso di buttare al vento un patrimonio del genere. Ma per adesso l'incubo sono le scadenze dell'inceneritore. Le chiavi dell'opera saranno consegnate appena sciolta la riserva del Tar. In teoria a fine ottobre, quando potrebbero arrivare le ruspe al Gerbido e piantare i primi chiodi. Solo tre anni dopo però l'impianto inizierà a funzionare. Tra oggi e il 2012 la città sarà costretta a conferire la spazzatura nella galassia di discariche disseminate in provincia. E il costo della raccolta aumenterà. Non è stato possibile far coincidere la chiusura dell'enorme contenitore di rifiuti torinese con l'accensione del termovalorizzatore. La contrapposizione tra sinistra di governo ed extraparlamentare ha avuto il sopravvento. Dibattito lungo, infinito, con colpi di scena. Fu il sindaco Valentino Castellani a ipotizzare per primo la costruzione di un inceneritore. E prima ancora il sindaco Valerio Zanone. Sotto palazzo civico si radunarono folle di ambientalisti per dire no all'ecomostro.
Per la strana e beffarda legge del contrappasso oggi l'inceneritore è diventato simbolo di salvezza. Un mostro che soccorre il centrosinistra torinese. Costerà la bellezza di 500 milioni di euro dei quali 35 solo per le compensazioni ambientali. Il Comune sarà socio al 95 per cento dentro Trm, la società incaricata di portare a termine l'opera.
Quando sarà terminato, la Tarsu avrà prosciugato i conti dei torinesi, le lotte non saranno terminate. Senza contare le promesse e i soldi già spesi. E poi le discussioni fiume, le gazzarre, gli sgambetti. Un armamentario di roba cui avremmo potuto fare a meno.
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