Capirossi: «Io, nonno delle moto, non mi sento ancora sorpassato»

Intervista al 35enne pilota Suzuki, in sella da 19 stagioni: «Il mondiale è dei giovani, ma non ho finito di lottare»

da Shanghai

Dietro a Valentino Rossi di nuovo Dottore in Cina, il nuovo che avanza in MotoGP ha il volto da ragazzino del 20enne Jorge Lorenzo, quello imberbe del 22enne Andrea Dovizioso, quello più arcigno del coetaneo Daniel Pedrosa o quello da fumetto del campione del mondo Casey Stoner, anche per lui 23 anni ancora da compiere. In tre stagioni, dal 2006 a oggi, la classe regina del motociclismo si è rinnovata profondamente e l'arrivo dalla 250 dei ragazzini terribili ha cambiato radicalmente la MotoGP, abbassando l'età media a 25,77 anni. Tra tanti pivelli, c'è però un «vecchietto» che resiste tenacemente, che non vuole arrendersi alla carta di identità, che dice: Loris Capirossi, 35 anni compiuti il 4 aprile, dei quali 19 passati nel motomondiale.
Allora Loris, lei è il nonno della MotoGp.
«Ma io mi diverto da pazzi: è vero, sono il più vecchio, ho 35 anni ma non li sento e andare in moto è sempre quello che mi piace fare di più».
Però tutti questi ragazzini...
«L'età non conta, conta se uno è appagato o no. Per me questi giovani sono uno stimolo pazzesco. Sono in un periodo bellissimo della mia vita e, moralmente, correre contro questi nuovi piloti mi gasa».
Lei è nel mondiale dal 1990 e con la Suzuki non sembra avere grandi possibilità di vittoria.
«Intanto: la Suzuki non è affatto un ripiego e rappresenta un incentivo nuovo, una sfida inedita che voglio vincere a tutti i costi. Sono un pilota che caratterialmente deve chiedere sempre di più a se stesso: nelle prove ufficiali del GP del Portogallo sono caduto con la gomma da tempo e non mi accadeva, credo, da 15 anni: è la migliore conferma che continuo a spingere sempre al massimo».
Ma dove dovete ancora migliorare?
«Un po’ dappertutto. Dobbiamo fare passi in avanti nell’elettronica e nell’assetto, perché soffriamo ancora un po’ in piega».
Rimane il fatto che difficilmente potrà lottare per le prime posizioni. Viene naturale chiederle: chi glielo fa fare?
«Semplicissimo. Ho vinto tre mondiali (due in 125 nel 1990 e nel 1991 e uno in 250 nel 1998, ndr) e avrei potuto conquistarne cinque, forse sei. Due, in 250, li ho buttati nel cesso io (letterale, ndr), nel 1993 e nel 1994, mentre uno l'ho perso con la Ducati nel 2006 per una serie di episodi sfortunati e indipendenti da me».
Quindi?
«Quindi è chiaro che mi manca il titolo più prestigioso, quello della MotoGp, ma proverò a conquistarlo anche con la Suzuki e solo il fatto di provarci mi fa stare bene. Non mi importa niente essere primo o secondo, quello che conta è combattere».
Ma perché questi giovani vanno così forte?
«Perché i piloti arrivati dalla 250 hanno un grande talento e se uno è forte lo è con qualsiasi moto. Era così anche ai tempi della 500 e non dimentichiamo che Biaggi vinse al debutto».
Però le moto oggi sono più facili da guidare.
«Non è vero, anche se indubbiamente c'è un margine di errore più elevato, mentre con le 500 bastava una piccolissima sbavatura per essere sbattuto a terra violentemente».
Mentre con l'elettronica...
«C’è davvero una bella differenza: adesso dai il gas a manciate, una volta lo dovevi dosare. Allora non avevi tutti questi dati a disposizione per la messa a punto e la sensibilità del pilota contava sicuramente di più. Non nascondo che se sono ancora qui è anche grazie ai motori 4 tempi: ci fossero ancora le vecchie 500, probabilmente avrei già smesso».
Invece si dice che rinnoverà il contratto con la Suzuki per il 2009.


«Il mio obiettivo è divertirmi e la Suzuki mi sta dando una mano in questo: sì, ci sono buone possibilità di fare un altro anno con loro».
E quando smetterà di correre?
«Me ne sto a casa a Montecarlo, con mia moglie Ingrid e mio figlio Riccardo: nel motomondiale non mi vedranno più nemmeno in fotografia».

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