Care signore, la vera arte si può ammirare ovunque

Care signore, la vera arte si può ammirare ovunque

Ha ragione Langone. Ma è una ragione capricciosa, e volutamente compiaciuta; non pura, ma peccaminosa. È vero: i musei sono cimiteri. E gran parte delle opere d’arte producono emozioni profonde se sono, religiose o profane, in chiese o palazzi, ammirate nelle loro sedi originarie. Quando i luoghi per cui sono state concepite vengono depredati, strappandone l’anima, esse trovano ricovero nei musei come lapidi nei cimiteri ove i nostri corpi riposano quando la vita è finita. E a lapidari i musei assomigliano con quadri di diversi autori a chiedere la carità di uno sguardo, senza più rapporto con le ragioni per cui sono stati concepiti, e senza ragione per essere l’uno vicino all’altro.
Da questi accostamenti deriva il fastidio che Gombrowicz, non diversamente da Langone, descrive nei suoi diari raccontando le sensazioni di una sua visita a un museo. Ha ragione Gombrowicz, ha ragione Langone: i musei, peggio quelli di arte contemporanea, pieni di niente, di rifiuti che uno non vorrebbe in casa fra i quali passeggiano le delicate fanciulle deprecate da Langone, sono luoghi di morte, cimiteri e ospedali dove si muove una vita artificiale, dove non puoi parlare, toccare, mangiare, pregare. Quando entri invece in una chiesa, a Venezia o a Firenze (evitare la basilica di San Marco nella prima e Santa Maria del Fiore nella seconda, sconsacrate da turisti svestiti e blasfemi che dissolvono l’aura); quando entri nella chiesa dei Frari e vedi davanti e sopra di te, pronta a innalzarsi al cielo, l’Assunta di Tiziano (che pure transitò in un museo, all’Accademia, e Canova riportò nella sua sede) senti che valori estetici e valori spirituali coincidono, che quello è il luogo dove l’opera di Tiziano deve stare e deve essere vista, così come, più modestamente, in un altare a sinistra, dello stesso pittore, la Pala Pesaro, e, in una cappella a fianco dell’abside, San Giovanni Battista di Donatello.
Però, in quella chiesa, non sei entrato per una Messa, ma forse hai addirittura pagato un biglietto (osceno ricatto, per chi coltiva lo spirito) come in un museo. Sei entrato per vedere Tiziano e Donatello, come, poco lontano, della Scuola di San Rocco, per vedere Tintoretto hai pagato un altro biglietto, hai accettato di cogliere l’atmosfera evocativa, senza la liturgia. Ti sei ridotto a «fruitore».
E ricordo che nella legge di tutela delle opere d’arte («belle arti» e non «beni culturali») n. 1.089 del 1º giugno 1939 si parla di «godimento» (bella parola piena e viva), non di «fruizione». D’altra parte in quell’epoca (benedetto Ratzinger!) la Messa era in latino, non nel volgare odierno; il prete voltava le spalle (come il direttore d’orchestra) come il primo dei fedeli, e non mimando un ridicolo e impossibile dialogo, che rende infrequentabili le Messe attuali, infettate (Baudelaire, cattolico con il sentimento del peccato diceva: «molti amici, molti guanti, per paura della rogna») dal ridicolo appello, neppure esortazione: «Scambiatevi il segno della pace». Ed ecco allora un gran movimento di mani, di ossequi e di saluti sopra e attraverso i corpi l’uno dell’altro. Meglio allora il rigor mortis dei silenti e incomunicanti frequentatori di musei come mistici in contemplazione di Untitled, per desiderio di mistero, e non per inanità degli artisti incapaci di chiamare le loro opere infinitamente, ontologicamente, mancate.
Non è vero invece che di fronte a un Cattelan «viene voglia di suicidarsi». Basta sorridere, basta metterne in discussione la presunzione di esistere.

È vero che uno vorrebbe ritrovare la Madonna della candeletta di Crivelli nella sua chiesa a Camerino, o la Sacra conversazione di Piero della Francesca nell’altare bramantesco che lo attende in San Bernardino a Urbino; ma è anche vero che alcuni musei (com’era un tempo il distrutto museo parrocchiale di Asciano, o il museo Jatta di Rugo di Puglia, o il Poldi Pezzoli a Milano, o il poeticissimo museo archeologico di Baranello) sono templi di una religione laica per cui l’opera d’arte è l’espressione più alta dello spirito dell’uomo, testimonianza certa dello spirito; mentre Dio resta un’ipotesi, e la santa Messa, per molti un rito meccanico. Faccia come vuole Langone, faccia la comunione tutte le domeniche. Io, intanto, andrò a Castiglione Olona, a vedere Masolino.

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