«Ma davvero vuoi andare lì? Sei pazza» dico a Maria Sole, la mia compagna, all'una e trenta del mattino. Davanti a noi, sul ciglio della strada, due scalette scavate nella pietra e un baratro e in fondo il buio, dove c'è un campo rom. Neppure nei film horror ho visto un buio così buio. «Ci torniamo domattina, con la luce, meglio». «Hanno detto che potrebbero averla presa i rom». «Se l'hanno presa non la stanno mangiando, ci torniamo domattina». Anche perché eravamo appena stati, senza uscire dall'auto, in un altro campo rom, una stradina in un bosco spelacchiato e sperduto con baracche di lamiere e reti dietro le quali abbaiavano cani poco rassicuranti, sembrava una puntata di Breaking Bad, di Suburra, di Narcos, di Non aprite quella porta, Non andate a Porta a Porta, di non so cosa di terribile, io: «Guarda che secondo me se non andiamo via da qui domani vengono a cercare noi».
Questa è la storia di un eroe, e quindi faccio un passo indietro, non solo dal baratro dei rom ma undici ore prima, quando la nostra piccola cagnetta, una mezza chihuahua mezza cieca mezza tonta mezza tutto è riuscita a scappare di casa per inseguirci. Dovevamo andare a Saturnia per due giorni di relax, e Ginger era rimasta con Angelica, la sorella di Maria Sole. Ci ha chiamato Ernestina, la portinaia, e subito dopo Angelica: «Ginger è scappata!». Cosa? Che? Come? Erano le dodici e trenta del mattino, torniamo a casa di corsa. Avvistata sulla Salaria, è riuscita a attraversarla due volte bloccando il traffico, per sperdersi nel traffico di Roma, senza neppure conoscerla, perché a parte quando siamo in campagna raramente esce di casa.
Da lì sono partite le ricerche, non solo nostre ma di tutti i volontari amanti dei cani del quartiere, attraverso un gruppo Facebook di centinaia di persone, alle undici di sera vedevi questi volontari in giro con le torce per cercare il nostro cane, sono rimasto sorpreso, non pensavo esistesse una comunità simile. Nel frattempo ho fatto una cosa che credevo di non dover fare mai nella mia vita, stampare cartelli con la foto di Ginger e attaccarli ovunque. Vedi sempre i cartelli degli altri, pensi che a te non succederà mai, figuriamoci, io che stampo e attacco cartelli ai pali. Intanto la zona del cerchio degli avvistamenti si allargava, chi l'aveva vista correre da una parte, chi dall'altra, a chilometri di distanza, mia figlia undicenne in lacrime, disperata, e noi con lei. Ma già dalle tredici e trenta in poi non c'era più avvistamento. Fiorenza, prestigioso avvocato e cinofila, colei che all'epoca salvò e regalò Ginger, mentre uscivamo illesi dal campo rom ci chiama e fa: «Temo il peggio. Undici ore sono tante, potrebbe essersi ferita colpita da un'auto, e essersi nascosta ovunque». Il panico, continuiamo a battere strada per strada chiamando «Ginger!!!!» guardando sotto centinaia di macchine, dietro cassonetti, in ogni anfratto. Niente. Notte insonne a pensare: cosa farà? Dove sarà? Sarà ferita? Sarà morta? Sarà a casa di uno sconosciuto che non ce la darà mai?
Il mattino seguente stavamo aspettando i cani molecolari. Non sapevo che esistessero, non sono dei cani fantascientifici di dimensione molecolare, sono cani che seguono la scia dell'odore del cane da cercare, delle tracce chimiche lasciate, ma eravamo molto sconfortati, erano passate troppe ore per un cagnolino imbranato di tre chili disperso a Roma, con le auto che sfrecciano ovunque perché a Roma in auto tutti hanno fretta, quando scendono tornano lentissimi. Per me e Maria Sole ormai Ginger era spacciata, anche se continuavamo a dare speranza a nostra figlia, la ritroveremo, tranquilla.
Qui arriva il bello, perché Fiorenza ci chiama (il microchip è ancora intestato a lei), e ci comunica che Ginger sta bene, è stata ritrovata. Da chi? Come? Alle cinque del mattino, sulla tangenziale, Ginger è finita sotto un autobus, ma è talmente piccola (e diciamolo pure, in quindici ore ha avuto un culo inversamente proporzionale alle sue dimensioni) che ci è passata sotto, e l'autista ha inchiodato. Ma non solo. L'ha vista correre via dallo specchietto retrovisore, e senza pensarci due volte ha fatto manovra e posizionato l'autobus di traverso, bloccando il traffico e precipitandosi in strada e riuscendo a prendere Ginger, terrorizzata, che l'ha pure morso.
È tornato sull'autobus con lei, se l'è messa in braccio, è passato da casa per sfamarla e dissetarla, e l'ha portata in una clinica veterinaria. Ginger stava bene, non aveva un graffio, mentre l'autista, che si chiama Carlo, ha atteso di controllare il microchip, se non fosse stata di nessuno l'avrebbe tenuta lui, non c'era problema. Pensateci: molti di noi si sono fermati per cercare di salvare un cane, ma chi lo avrebbe fatto su un autobus, in servizio, rischiando anche di perdere il posto? Senza un momento di esitazione. Continuo a pensarci: quanti autisti ci saranno a Roma capaci di una cosa del genere? È proprio questa la caratteristica dell'eroe: ce ne sarà uno, lui. Penso anche che Ginger, imbranata, paurosa, che va subito nel panico, è uscita illesa dopo un giorno e una notte nell'inferno di Roma. Ora non la vedo più come prima, la vedo come la Jannik Sinner dei chihuahua, la chiamo Ginner.
Chiunque di voi abbia un cane o un gatto sa quanto siano parte della famiglia. Carlo ci ha aspettato alla clinica, un omone gigante, una specie di Bud Spencer senza barba (ora che ci penso anche Bud si chiamava Carlo), con in braccio il nostro piccolo mostriciattolo scampato all'inferno, salvato da quest'uomo speciale. Maria Sole ha faticato a fargli accettare dei soldi di ricompensa, che comunque sembrano sempre troppo pochi, non li voleva. Io gli ho chiesto l'iBan, Paypal, volevo dargli di più, non c'è stato verso.
«Per me il regalo più bello è stato vedere il sorriso sul volto di vostra figlia». Una frase da supereroe. Un grande potere implica una grande responsabilità. Ora so che vale anche per un grande uomo su un grande autobus con un grande cuore.
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