Una carriera piena di ombre

Da Montenero di Bisaccia a Milano, a New York. Da povero emigrante a famoso magistrato, a star internazionale. Una carriera fulminante, quasi incredibile, fatta di successi ma anche di zone d’ombra, popolate da personaggi ambigui, relazioni misteriose, 007 e agenti vicini alla Cia. Nella spy story (come ironicamente la chiama Di Pietro) sul Tonino «americano» e sul presunto interessamento degli Usa al lavoro del pool che a - colpi di avvisi di garanzia - stava sgretolando i partiti della Prima Repubblica, c’è un altro capitolo meno noto, che ha al centro una segreta «relazione di servizio» all’allora procuratore Borrelli, e che ruota intorno alle rivelazioni di un costruttore milanese, Bruno De Mico, indagato (e condannato) nell’inchiesta «Carceri d’oro», terreno di coltura della successiva Tangentopoli, poi divenuto un confidente del pool. De Mico non può raccontare più niente, perché - come in una spy story che si rispetti - è appena morto, proprio pochi giorni fa, a Londra, in un momento in cui forse avrebbe avuto qualcosa da raccontare, adesso che - dopo la pubblicazione delle foto con Contrada e gli 007 e dopo gli allarmi di Di Pietro sui «dossier» costruiti per colpirlo - si torna a indagare sui presunti rapporti tra Tonino e i servizi segreti, all’inizio degli anni ’90.
Chi può in parte sostituire De Mico, per ricostruire alcune vicende sui legami americani del magistrato Tonino, è l’ex avvocato del costruttore, Franco Sotgiu, che avrebbe fatto da tramite tra gli americani, De Mico e la Procura di Milano nei mesi terminali della Prima Repubblica. «C’è un viaggio a New York di Di Pietro, nel ’92, di cui siamo certi, ma di cui non si è mai capito il reale motivo», spiega l’avvocato al Giornale.
La premessa è una rivelazione di De Mico. Nella primavera del ’92, il costruttore contatta il legale per una faccenda «molto importante». «Mi disse: “Le devo confidare una cosa. Gli americani sono interessati a fornire informazioni e collaborazione ai magistrati del pool, ma siccome non si fidano degli italiani, lo faranno a condizione che Di Pietro vada negli Usa. Pensano anche di farlo partecipare al programma 60 Minutes, uno famoso show della Cbs, cosa che avrebbe creato secondo loro un’area di opinione pubblica molto favorevole nei confronti di questo magistrato Rambo italiano”». Ma chi erano questi «americani» interessati a collaborare con Di Pietro? L’avvocato non ha certezze ma solo sospetti: «Ritengo che fosse la Cia».
L’interessamento dagli Usa viene comunicato da Sotgiu al pm Piercamillo Davigo, che - sostiene il legale - prende sul serio la cosa e riferisce tutto al procuratore Borrelli, in una «relazione di servizio», mai verbalizzata, in cui spiega l’offerta americana (mediata da De Mico) giustificandola come una sorta di “vendetta” Usa verso Craxi. «Non fui io, come scrisse Travaglio, a spingere Davigo, ma il contrario. Fu lui che venne a sollecitarmi, dandomi appuntamento a mezzanotte, nel mio studio, dove si presentò con un capitano dei carabinieri. Davigo riferì a Borrelli il quale rispose, saggiamente, che se gli americani volevano fornire collaborazione dovevano farlo per vie ufficiali, non segretamente. Però io so di un viaggio di Borrelli a Roma, per informare i vertici dello Stato di questa vicenda, che risultò molto irritante». Secondo De Mico, per quanto ricostruisce il suo ex legale, dietro l’appoggio Usa all’opera di Tonino, letta in chiave anti Dc-Psi, c’era anche una storia legata al traffico d’armi con la Somalia.
Poi, dopo i contatti incrociati, per un po’ non succede nulla. Finché qualche mese dopo, nell’ottobre ’92, Di Pietro vola effettivamente per gli Usa, destinazione New York. «La ragione ufficiale era un’indagine su certi conti bancari, che però sarebbe stata piuttosto competenza della Gdf. Che contatti possa aver avuto Di Pietro a New York, questo non lo so. Di certo so che la Procura autorizzò il viaggio di Di Pietro, che resta comunque difficile da spiegare. Le rogatorie internazionali con gli Usa sono abbastanza facili, non è la Cina o l’Uganda, tra l’altro i conti correnti e i rapporti bancari sono pubblici». Perché allora Di Pietro volò negli Usa? «Di certo sapeva benissimo della richiesta degli americani - sostiene Sotgiu -. Io ho un’opinione mia su questa faccenda, che è solo un’opinione. Io penso che nessuno di noi abbia capito a cosa mirasse Di Pietro. Per certo so che con la sua azione giudiziaria ha fatto fuori Craxi, che in quel momento era diventato molto sgradito agli americani».
Sugli «appoggi» americani (leggi: Cia) al lavoro del pm Di Pietro si è molto scritto e molto favoleggiato. Però i suoi viaggi sono un fatto accertato, mentre meno accertati sono spesso i motivi di quelle trasferte oltre Atlantico. A metà degli anni ’90 Di Pietro fu invitato come relatore in diversi convegni, tra i quali una conferenza al Centro studi strategici internazionali di Washington, insieme a Edward Luttwack, l’influente politologo americano che lo presentò in quell’occasione come «un eroe per il 92 per cento degli italiani». Nel ’94 lo stesso Luttwack aveva previsto la «discesa in campo» di Tonino, poco prima che il pm si togliesse effettivamente la toga in aula alla fine del processo Enimont.

Prima di quella conferenza, un altro invito importante per Tonino, all’American Enterprise Institute della capitale Usa, laboratorio importante del conservatorismo americano, dove Di Pietro è ancora ospite d’onore. Viaggi, inviti, momenti normali di una carriera eccezionale, spiega Di Pietro. Ma al puzzle mancano sempre troppi tasselli.

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