«Insetti clandestini?», un insetticida «ferma l’invasione». Ma cosa avete capito? Si parla solo di animaletti fastidiosi in quei mega-cartelloni pubblicitari affissi a Milano, come anche a Roma e a Bologna. Almeno è quello che assicurano i responsabili dell’azienda emiliana che vende una linea di prodotti per la disinfestazione - della zanzara tigre e non solo: «Non vogliamo fomentare o dare indicazioni sbagliate. Gli immigrati non c’entrano». Eppure molti hanno fatto un salto sul sedile dell’auto, notando i manifesti in giro per la città. Non solo i «soliti» militanti dei centri sociali, che nel loro tam-tam telematico fanno volare parole grosse, mobilitandosi contro quelli che definiscono «slogan razzisti». Anche cittadini politicamente più moderati sono rimasti sbigottiti: «Questo messaggio è pericoloso come indizio di una mentalità diffusa - protesta per esempio Felice Besostri, avvocato ed ex parlamentare ulivista - e può rafforzare, banalizzandole, tentazioni inconsce. Da questa pubblicità è facile passare ad un altro messaggio: “Clandestini? Da schiacciare come insetti”».
«Ci aspettavamo che qualcuno potesse azzardare questo paragone e parlare di razzismo o di xenofobia, ma non è giustificato», replica Enrico De Nora, uno degli ideatori della campagna, nonché figlio del titolare della (media) azienda emiliana che produce la linea di insetticidi. «Si parla - spiega - della zanzara tigre e di altre cinque specie, tutte raffigurate. E l’unica parola capace di descrivere tutte queste specie era proprio “clandestini”, cioè insetti nascosti. Solo una distorsione lessicale fa coincidere questa parola con gli immigrati. Clandestino è tutto ciò che è nascosto».
Non si voleva per caso creare un «corto circuito» che scatenasse delle polemiche, per aumentare l’impatto della campagna? «Assolutamente no». L’interpretazione maliziosa starebbe in chi legge: «Se si vuol vedere il marcio ovunque non è colpa nostra - attacca De Nora - quella è la parola più calzante, ed è giustificata dalla letteratura scientifica. Leghisti noi? Assolutamente no. Noi non abbiamo etichette o legami politici, diamo lavoro a dipendenti di ogni nazionalità, e abbiamo progetti nei Paesi in via di sviluppo, come asili in Brasile o in Africa». Il «caso» è complicato da un dettaglio ulteriore: su alcuni dei 400 manifesti affissi nelle tre città è evidente che lo slogan è stato corretto da una fascia incollata successivamente. «È vero - confermano dall’azienda - l’errore è stato della tipografia, che aveva stampato la versione del manifesto scartata dalla direzione aziendale». Questa: «No ai clandestini: ferma l’invasione». «Abbiamo scelto l’altra - la spiegazione - proprio per fugare ogni dubbio, e la presenza delle immagini esclude comunque ogni interpretazione scorretta».
«Il Comune non può sindacare il contenuto degli slogan - spiega l’assessore Maurizio Cadeo - certo la fantasia dei creativi non si pone limiti, e a volte ricorre a soluzioni poco felici. Io posso dire che il governo per i clandestini ha messo in campo l’esercito, gli insetticidi non c’entrano».
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