Le idi di marzo, e di Fini. Il 15 marzo del 44 avanti Cristo un certo Giulio Cesare, imperatore di Roma, veniva pugnalato in Senato. Il 15 marzo 2012, un certo Gianfranco Fini, imperatore di se stesso e forse ormai nemmeno più presidente della Camera, sarà chiamato a partecipare alla prima udienza del processo civile per la casa di Montecarlo.Procedimento scaturito anche dall’invito del gip ad affrontare in sede diversa da quella penale le questioni irrisolte dell’ affaire monegasco di Boulevard Princesse Charlotte. Se Giulio Cesare, come racconta Plutarco, snobbò i cattivi presagi sul pericolo incombente, l’«erede» di Almirante dai cattivi presagi è stato sempre alla larga, aiutato da una magistratura comprensiva che lo ha indagato solo il giorno dell’archiviazione, guardandosi bene dall’interrogare lui e il cognato Giancarlo Tulliani anche soltanto come persone informate sui fatti.
Dopo aver evitato di presenziare, risultando contumace, all’« udienza di conciliazione» per dirimere fuori dal processo il contenzioso sul pezzo pregiato dell’eredità lasciata ad An dalla contessa Anna Maria Colleoni, a Fini (e al suo braccio destro Donato Lamorte) è stato notificato un atto di citazione davanti al tribunale di Roma per il 15 marzo prossimo. Oggetto del contendere? L’intero patrimonio della nobildonna «fascista» di Monterotondo venne donato al partito, nella persona dell’allora segretario, affinché contribuisse alla «buona battaglia» di Alleanza nazionale. Per usare le parole dei ricorrenti Marco Di Andrea e Roberto Buonasorte, esponenti della Destra di Storace, quell’onere testamentario «costituì il solo motivo determinante delle sue ultime disposizioni ». Insomma, o Fini utilizzava quei beni per la militanza politica cara alla discendente del condottiero Colleoni oppure niente lascito, anche perché nella scrittura olografa «si istituiva erede universale il “ partito” Alleanza nazionale nella persona del suo attuale presidente, onorevole Fini, e non già Fini come persona fisica». La Colleoni, insomma, non ha dato il suo patrimonio al signor Fini. Tantomeno a suo cognato, che però nella casa nel Principato c’è andato casualmente a vivere.
Per dimostrare come Fini abbia in realtà violato le disposizioni testamentarie, «adottando un comportamento politico contraddittorio, incoerente ed antitetico» con le ragioni identitarie dell’Msi prima, e di An poi, i ricorrenti elencano un’infinità di sue giravolte: ha dato il nome a una legge dura sugli immigrati eppoi s’è dichiarato favorevole al loro voto; è andato a braccetto con le Pen tranne poi prenderne le distanze; aveva contrastato con un referendum il finanziamento pubblico ai partiti eppure nel 2002 si è speso per una leggina che aumenta tali contributi. Come non citare poi le capriole su Israele e la Palestina, sulla procreazione assistita, su alcuni temi economici, sul fascismo (caro alla Colleoni eppure definito «male assoluto »), sulla droga («quando ospite da Fazio confessò che in Giamaica s’era fatto uno spinello »), sulle intercettazioni che sono «un linciaggio mediatico» quando colpiscono la sua ex moglie e diventano un bene quando trattano di Lavitola, sull’apertura alle coppie gay dimenticandosi d’aver detto che un omosessuale non poteva fare il maestro d’asilo, sulla deriva islamista culminata col Corano nelle scuole e tanto altro ancora. Ma dove Fini ha «tradito » i desiderata della Colleoni è sulla collocazione del partito che ha disintegrato a Fiuggi, spinto nelle braccia del Ppe, inglobato nel Pdl, dunque spostato nel Terzo-Polo che oggi non esclude un’alleanza con gli ex comunisti nel Pd.
Quando il Giornale tira fuori lo scandalo della casa di Montecarlo con il ricorso a società off-shore riconducibili- secondo il governo di Saint Lucia- a Giancarlo Tulliani, il «tradimento» può dirsi completo. Anziché al partito, la casa è in uso a suo cognato, la cui firma appare inspiegabilmente sul contratto di locazione sia sotto la voce baileur (proprietario) che sotto quella conducteur (affittuario). Soltanto la procura di Roma non ci ha trovato nulla di strano, archiviando il tutto. Però di fronte alle evidenze il gip ha consigliato il ricorso alla giurisdizione civile. Nel suo decreto di archiviazione riconosce infatti che gli opponenti della Destra si possono effettivamente «ritenere danneggiati dal comportamento degli indagati, in conseguenza del valore incongruo attribuito all’immobile ( della Colleoni, ndr) alienato (alla società offshore Timara per 300mila euro,
ndr ) ». Posto che la nascitura «Fondazione Alleanza nazionale» per i ricorrenti non è un «soggetto politico »capace di adempiere all’onere della «buona battaglia» poiché, a differenza di un partito, «non è strumento idoneo a ingaggiare battaglie politiche», per attuare la volontà della defunta occorre passare alle vie di fatto.
Condannare in solido Fini e Lamorte «a devolveretutto o parte del cospicuo patrimonio della Colleoni stimato in decine di milioni di euro» alla fondazione di un partito di destra. Oppure a un partito che già c’è: la Destra di Storace, che la «buona battaglia » non la tradisce di sicuro.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.