Caso Unipol, Sacchetti nega tutto ma non convince i pm di Milano

L’ex numero due del gruppo interrogato sui conti esteri e sui 50 milioni versati a lui e a Consorte dal finanziere Gnutti

Caso Unipol, Sacchetti nega tutto ma non convince i pm di Milano

Stefano Zurlo

da Milano

Il giorno di Ivano Sacchetti arriva a sorpresa dopo un’interminabile attesa di settimane. L’ex numero due di Unipol, l’ombra di Giovanni Consorte, si presenta nel primo pomeriggio in procura dove lo aspettano i Pm Francesco Greco, Eugenio Fusco e Giulia Perrotti. È un interrogatorio lungo quello che attende l’ex vicepresidente del gruppo assicurativo bolognese. I Pm hanno accerchiato in autunno la coppia di vertice del colosso di via Stalingrado, ma per andare all’attacco hanno scelto una strategia sofisticata: Consorte è stato sentito il 27 dicembre; poi nei giorni scorsi i suoi avvocati Giovanni Maria Dedola e Filippo Sgubbi hanno consegnato ai magistrati una memoria in cui hanno provato a colpi di tabelle e cifre a disinnescare le accuse. Il dossier non ha convinto i Pm che, giusto l’altro ieri, hanno trovato nuovi elementi a Montecarlo.
Di ritorno dal Principato di Monaco, i magistrati affrontano dunque Sacchetti cercando di scardinare la più indivisibile delle coppie della finanza italiana. Un duo di ferro, unito nella stagione degli affari con Gianpiero Fiorani, delle plusvalenze milionarie versate dal numero uno di Hopa Chicco Gnutti. Un binomio inscindibile anche ora, nella cattiva sorte; i due devono rispondere degli stessi reati: associazione a delinquere, appropriazione indebita, aggiotaggio e ricettazione. E devono spiegare, fra le altre operazioni, quei 50 milioni di euro ricevuti da Gnutti e spartiti esattamente a metà. Gnutti, sentito a sua volta alla vigilia di Natale, ha voltato loro le spalle con una dichiarazione perfida: «Preferivo averli amici che nemici».
Ora tocca a Sacchetti dare la sua versione. L’assalto dei Pm va avanti fino alle 21.30, ma a quanto pare, senza risultati. il vice di Consorte si difende seguendo la linea adottata dall’ex presidente. Del resto anche i legali, Sgubbi e Dedola, sono gli stessi. «I risultati più eclatanti - si legge nella memoria firmata da Consorte in cui si ricostruisce la vicenda Telecom - sono stati colti proprio da Unipol». Unipol, secondo i calcoli di Consorte ha realizzato una plusvalenza di 93 miliardi di lire, mentre Hopa ha ottenuto «un utile superiore ai 1.700 miliardi di lire». Per l’ex numero uno di via Stalingrado, l’azione condotta in coppia con Sacchetti per tre anni è stata semplicemente «un ampio e articolato supporto delle attività del gruppo Hopa e del presidente e amministratore delegato dottor Gnutti». Non solo: le cifre incassate «finiscono per rappresentare una percentuale minima rispetto alle transazioni sottostanti».
Minimalismo che non abbaglia gli investigatori. Con Sacchetti il copione si ripete. La deposizione avanza faticosamente. Poi, poco dopo le 19, i cronisti annotano un falso finale: gli avvocati si fermano nella stanza di Greco per rileggere il verbale; Sacchetti esce conversando con il capo del Pool, poi esclama ad alta voce: «No, dottor Greco, no». Un attimo dopo Greco e Sacchetti rientrano nell’ufficio. L’interrogatorio riparte.

E si chiude intorno alle 21.30. Dopo più di cinque ore. All’uscita nemmeno una dichiarazione.
Per la coppia che a lungo ha guidato l’Unipol l’orizzonte si fa sempre più scuro. Ora tocca ai Pm decidere come continuare la partita.

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