Castelli: «Siniscalco? Un tecnico Ha fatto la stessa fine di Ruggiero»

Stefano Zurlo

da Milano

È il giorno della fibrillazione: le dimissioni di Siniscalco, poi la nomina di Tremonti. Roberto Castelli vive ore di apprensione, poi tira il fiato: «Sono assolutamente soddisfatto perché il governo ha trovato una soluzione. Abbiamo tutti gli strumenti per andare avanti per il bene del Paese e per varare una finanziaria in grado di coniugare rigore e sviluppo. E quando dico rigore e sviluppo - prosegue il ministro della Giustizia in questa intervista al Giornale - utilizzo una frase un po’ fatta ma in cui credo».
Siniscalco voleva più rigore e i partiti di governo, compresa la Lega, l’hanno costretto a gettare la spugna.
«Questo l’ho letto sui giornali. Può darsi che da ministro tecnico Siniscalco si sia imbattuto in difficoltà simili a quelle in cui si era trovato Ruggiero e non perfettamente in sintonia con il governo. Non lo so. Io per la mia parte devo correggere questo giudizio».
Come?
«In queste settimane ho dialogato con Siniscalco: è vero che mi aveva prospettato una compressione delle spese di giustizia, ma è altrettanto certo che laddove aveva compreso l’assoluta esigenza di un intervento energico non si era tirato indietro. Anzi... ».
A cosa si riferisce?
«Alle carceri. Il sistema scoppierà, se non ci saranno interventi, alla fine del 2006».
Perché?
«Perché fra poco più di un anno arriveremo a quota 65mila detenuti. Una situazione insostenibile».
Siniscalco?
«Mi aveva assicurato interventi per decine di milioni di euro così da ristrutturare numerosi bracci di carceri oggi inutilizzati e creare 2mila nuovi posti. Con questi interventi potremmo andare avanti».
Insomma, al di là del caso Fazio, lei ha avuto buoni rapporti con il ministro dell’Economia?
«Direi ottimi, anche se sul dossier Fazio le sue vedute e quelle della Lega sono molto lontane. E poi con lui ho lavorato benissimo su un tema assai delicato».
Quale?
«La riforma del diritto fallimentare che proprio domani (oggi per chi legge, ndr) arriverà al Consiglio dei ministri sotto forma di decreto legislativo».
Castelli e Siniscalco hanno lavorato in coppia?
«Sì e abbiamo centrato lo scopo. Il fallito, in base alla nuova norma, non sarà più un mezzo delinquente, da relegare ai margini della società, e l’azienda fallita non sarà più un osso da spolpare. No, in prima istanza verrà tolto molto potere ai magistrati per darlo al comitato dei creditori. Il rito, camerale, porterà a un’accelerazione dei procedimenti e poi il nuovo istituto dell’esdebitazione permetterà al fallito, a certe condizioni, di sanare gli effetti civili del fallimento».
Una piccola rivoluzione?
«Certo. Questa riforma era molto attesa dalla Confindustria, dall’Abi, della società civile. La legge oggi in vigore è del ’46 e nessuno l’aveva mai cambiata. Ora anche su questo versante entriamo in Europa. Aggiungo che in Consiglio dei ministri porterò domani anche i primi quattro decreti attuativi della riforma dell’ordinamento giudiziario. È una gara contro il tempo per evitare che questa legge, così importante, finisca alle ortiche. Io sono il primo ministro della storia repubblicana che abbia osato mettere mano all’ordinamento giudiziario. Gli altri non ci erano mai riusciti, io sì perché non sono ricattabile. Da nessun punto di vista».
Lei è sommerso dalla critiche della magistratura.Ora però ci si è messo anche Al Watan, autorevole quotidiano arabo. Al Watan ha spedito un inviato al convegno leghista di domenica a Venezia e l’ha sintetizzato a modo suo.
«No, calma. Non solo non è vero che io abbia mai chiesto la prigione per le donne velate e definito i musulmani scimmie, ma è falso che Al Watan abbia mai scritto queste panzane. Mi sono fatto tradurre da un amico arabo le parole riportate nel sito internet del giornale e queste frasi non ci sono».
Dunque c’è stato un equivoco?
«Direi una serie di equivoci: anche il Giornale in perfetta buonafede ha sbagliato, fidandosi della traduzione di un’agenzia, e col Giornale il vostro commentatore Giordano Bruno Guerri. Io non ho mai detto quelle parole, ma so già che questa precisazione non servirà a nulla».
Perché?
«Perché conosco i meccanismi perversi dell’informazione. Io, per esempio, non ho mai detto che le carceri sono hotel a cinque stelle, ma questa frase, attribuitami una volta, torna sempre fuori. Così io sarò per sempre quello che ha equiparato gli arabi alle scimmie. Anche se non l’ho mai dichiarato né pensato.

Torniamo al solito, eterno problema: certe parole, sparate dai giornali, possono assumere un peso enorme. Mi riservo comunque di intraprendere le vie legali contro Al Watan che mi ha paragonato, e questo purtroppo c’è anche nella traduzione, al tagliatore di teste Al Zawahiri».

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