Cattelan provoca, «Il Riformista» abbocca all’amo

Grandi sfortune ebbero Lorenzo Lotto, Van Gogh, Modigliani; grande fortuna Bernard Buffet, che morì suicida. Maurizio Cattelan è uomo di teatro con piccole idee, rare e rumorose. Piuttosto furbo, ma anche ingenuo, se è vero che propone la sua ultima trovata in questi termini: «L’opera rappresenta la lotta della storia e della religione contro il potere della morte». Ovvietà. Il suo ufficio stampa si compiace dell’ennesima provocazione, come un delitto perfetto: «Il maestro ha realizzato una provocatoria e controversa opera», già prefigurano che sia controversa. Perché è questo che Cattelan vuole. Ed è perfettamente consapevole, che, mai come oggi, la religione è al centro della universale attenzione. Naturalmente lui è pronto a fare la vittima. Ma è felice che il clero della cittadina di Pulheim abbia reagito con indignazione davanti alla sua donna crocifissa: «È un’immagine blasfema che offende tutti i fedeli. Chiederemo che venga rimossa al più presto», risultato raggiunto con il minimo sforzo. Ma, naturalmente, basta questo perché il critico anonimo del Riformista (dietro il quale si cela il modesto Francesco Bonami) scriva che Cattelan è «l’artista più internazionale che abbiamo». Questo per lui equivale a un riconoscimento e non capisce che, per la seconda volta, io cerco semplicemente di spiegare il senso delle sue provocazioni. Così crede di vedere «opere» dove sente solo parole che, ogni volta, cercano di spiegare le ragioni di un artista. Il vero miracolo di Cattelan è che l’opera non c’è, e noi ne parliamo. La modestia di Cattelan non disturba ma consola Bonami e i molti che si interrogano, sorpresi o scandalizzati. Con molta serenità, e sempre provocato, a esprimere un parere, a dibattito aperto, io ho difeso la sua libertà d’artista, ora come al tempo dei bambini impiccati. Ho cercato di intenderne e interpretarne le ragioni; pretendere che mi piaccia mi pare troppo. Lo capisco e lo detesto, anche a nome di quelli che fanno la loro ricerca senza chiedere di farsi vedere per ciò che non fanno. Cattelan continua con i bambolotti. Ad essi attribuisce significati, solo apparentemente complessi. Una volta è il Papa travolto dal meteorite. Una volta è un piccolo Hitler, un’altra i manichini appesi o se stesso che sbuca da un pavimento. Non mi sembrano grandi trovate. Ma ne stiamo parlando. Se il problema fosse il loro contenuto, in conflitto con il buonsenso e la morale borghese, non ci capisce perché non dovrei, a proposito di «opere», ricordare la bella donna crocifissa di Adelchi Riccardo Mantovani. Per il critico anonimo del Riformista che mi crede «invidioso forse del successo e dello spazio mediatico» esiste solo ciò di cui si parla. Un artista può fare quello che vuole, ma se non si accende un dibattito, le opere non bastano. Per questo se l’anonimo (o lo pseudo Bonami) fosse vissuto al loro tempo non avrebbe degnato di uno sguardo Lotto, Van Gogh e Modigliani. Abbagliato dal successo avrebbe preferito Bouguereau e i pittori Pompiers.

D’altra parte ha anche problemi con la grammatica; scambia i pronomi con i verbi: «L’ho (non “lo”) fatto anch’io, no tu no». E per questo preferisco Adelchi Riccardo Mantovani a Cattelan. Perché ha studiato. Cattelan continua a giocare, confondendo il Barocco con il balocco.

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