Le tariffe dei cellulari cambiate a nostra insaputa

Tariffe che cambiano una volta al mese e penali pesanti in caso di recesso. Per gli utenti è un salasso. La reazione? Raffica di denunce contro i gestori telefonici: il 500% in più in un anno

Le tariffe dei cellulari cambiate a nostra insaputa

L'offerta è buona, le condizioni interessanti. Dopo un'attenta valutazione la decisione è presa e il contratto con il gestore telefonico viene firmato. Tutto ok? A prima vista sì, con una piccola riserva: l'offerta buona oggi rischia di non essere più tale domani. Perché se c'è una specialità a cui le società telefoniche si sono dedicate ultimamente è quella di cambiare le carte in tavola. C'è chi si è preso la briga di censire le modifiche contrattuali praticate da alcuni tra i principali gestori italiani: «Nell'ultimo anno e mezzo Vodafone ha cambiato 14 volte le condizioni dei piani tariffari, per Tre i cambiamenti sono stati addirittura 16», spiega Emmanuela Bertucci, agguerrita avvocatessa dell'associazione di consumatori Aduc. «Io seguo il settore da almeno una decina d'anni e non avevo mai visto nulla del genere, ormai le regole su cui gli utenti dovrebbero poter fare affidamento cambiano ogni settimana».

Nessuna meraviglia che gli italiani alla fine si arrabbino. Se si guarda all'ultima relazione dell'Autorità per le comunicazioni, presentata nel mese di luglio, si nota che le denunce dei consumatori contro i gestori per la violazioni delle regole su «modifica dei piani tariffari e condizioni contrattuali» sono esplose. Nel 2015 le segnalazioni all'autorità erano state 133, nel corso del 2016 sono diventate 1.218, quasi dieci volte tanto. Il rapporto dell'Autorità segnala che da un anno all'altro sono cambiati i criteri di classificazione degli esposti e su basi più omogenee parla di un numero pari a cinque volte quello del 2015. Ma il discorso non cambia: la cifra rende con immediatezza le dimensioni del problema.

La modifica contrattuale più importante effettuata di recente dai gestori, e anche quella che ha suscitato le polemiche più infuocate, riguarda il periodo di fatturazione, passato dal mese alle quattro settimane. A prima vista una variazione quasi impercettibile ma che però fa sì che le bollette passino da 12 a 13 in un anno, con un aumento medio, sempre su base annua, superiore all'8%. La decisione dei gestori si è scontrata, almeno per quanto riguarda le utenze fisse, con la posizione dell'Agcom. Per i telefoni di casa l'autorità ha fissato nella «periodicità mensile il periodo minimo necessario per consentire all'utente di avere una corretta e trasparente informazione sui consumi fatturati e un tempo di invarianza nel rinnovo del prezzo offerto dagli operatori». Per quanto riguarda invece la telefonia mobile l'Agcom ha messo un paletto, che è peraltro fissato proprio a 28 giorni, la periodicità scelta dai gestori. Alla fine, come accade sempre in Italia, la questione è finita al Tar, dopo il ricorso degli operatori che chiedono all'Autorità di non immischiarsi nella libertà contrattuale delle parti.

DIVORZI DOLOROSI

In ballo in caso di modifiche contrattuali c'è soprattutto il rispetto delle regole sul diritto di recesso. E anche qui gli italiani si sono fatti sentire. Le denunce all'Autorità per costi di disattivazione ingiustificati e per ritardi nella lavorazione delle richieste di «divorzio» si sono quadruplicate, passando da 275 a 803. Il principio generale è che la disdetta del contratto da parte dell'utente deve avvenire senza il pagamento di penali. L'unico (e ovvio) diritto del gestore è quello di richiedere il pagamento delle eventuali rate mancanti per gli smartphone o i dispositivi (per esempio tablet) offerti in abbinamento con il contratto. Anche qui però bisogna intendersi: il rimborso deve avvenire nei termini e nei tempi su cui ci si era inizialmente accordati e quindi non è possibile pretendere il rimborso delle rate in un'unica soluzione. Da questo punto di vista non tutti i gestori sembrano molto attenti. È di pochi giorni fa la condanna di Wind a 500mila euro di multa proprio per questo tipo di comportamenti. La società ha ridotto il periodo di fatturazione a 28 giorni e a coloro che avevano esercitato il diritto di recesso aveva addebitato in un'unica soluzione le rate mancanti. Non solo. Il periodo di rinnovo è stato modificato anche per i contratti a durata minima (24 o 30 mesi) e a chi chiedeva di rescindere il contratto era stato chiesto immediatamente il recupero dell'intero costo del modem concesso in abbinamento. A dimostrare quanto le fasi del «divorzio» tra utente e operatore siano delicate c'è il fatto che sul tema è intervenuta anche la legge sulla Concorrenza, approvata agli inizi di agosto. Il testo ha cercato di mettere un po' d'ordine e di frenare (per altro con una formulazione che resta molto generica) le pretese delle compagnie. I costi di disattivazione, che spesso si trasformano di fatto in penali a carico dell'utente, dovranno essere commisurati al valore del contratto e legati ai costi realmente sostenuti dalle compagnie per la gestione della pratica (di fatto praticamente nulli).

Modifiche contrattuali e recesso dal contratto sono gli argomenti più frequentemente oggetto di denuncia all'Autorità. In aumento rispetto al 2015 sono anche le proteste sul mancato riscontro ai reclami (i casi sono quasi triplicati, vedi anche la tabella in alto a destra) e il funzionamento dei call center (le lamentele sono più che raddoppiate), mentre sostanzialmente stabili restano gli esposti per gli ostacoli frapposti dai gestori al cambiamento di operatore.

Da notare che le 6mila denunce esaminate dall'Autorità per le Telecomunicazioni (nel complesso sono aumentate di un quarto rispetto all'anno precedente) sono solo la punta dell'iceberg del contenzioso ben più vasto tra clienti e operatori telefonici. La parte del leone la fanno i Corecom, Comitati regionali per le comunicazioni, e le commissioni di conciliazione promosse da gestori e associazioni di consumatori. Sono questi gli organismi incaricati di trovare un accordo tra le parti in caso di controversia. Le procedure di conciliazione nel 2016 hanno fruttato agli utenti oltre 30 milioni di euro tra indennizzi e risarcimenti versati dalle compagnie telefoniche. Sembra un bella cifra, che però impallidisce se si esaminano i numeri del settore. Agli operatori basta addebitare mensilmente 50 centesimi in più ai propri clienti per portare a casa su base annua anche decine di milioni di incassi aggiuntivi. L'esiguità della cifra fa sì che siano sempre molto pochi i clienti che si prendono la briga di protestare, mentre le Authority, sia l'Antitrust, sia quella delle Comunicazioni, hanno criteri di commisurazione delle sanzioni fissate per legge che non mordono più di tanto i gestori. Risultato: le clausole a danno degli utenti o le variazioni contrattuali penalizzanti diventano in qualche caso una normale politica commerciale, in cui anche le multe vengono messe nel budget di un'operazione programmata a tavolino.

INCOGNITA ROAMING

Ora il prossimo importante test è rappresentato dalla fine del roaming a livello europeo. L'operazione è partita in grande stile quest'estate, all'apparenza con grande soddisfazione di tutti. Soprattutto degli utenti che hanno assaporato l'ebrezza di parlare e «navigare» su Internet all'estero come in Italia. Certo, un paio di gestori (Tim e Vodafone) sono già stati «ammoniti» dall'Autorità perché per alcuni profili tariffari erano sembrati non dare piena attuazione alla norme del cosiddetto «Roam like at home». Ma in termini più generali per essere davvero sicuri che tutto sia andato bene bisogna attendere che arrivino le prime bollette. Perché anche con le nuove regole non tutti i costi sono scomparsi.

Spesso per esempio c'è un limite (di solito abbastanza alto) alla quantità di dati scaricabili, oltre il quale può scattare un sovrapprezzo. Vedremo se anche questo diventerà occasione di litigio tra clienti e compagnie.

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