Censura riformista

L’appello di Magna Carta: ovvero, l'appello fantasma. La storia vale la pena di raccontarla perché è emblematica di come il dibattito pubblico viene inteso dalla sinistra: da quella riformista ancor più che da quella estremista.
Iniziamo dall'antefatto. Sartori, Fassino e soci per giorni e giorni hanno ripetuto un refrain: non c'è un costituzionalista, un uomo di cultura, un docente universitario, o anche di liceo, di scuola media inferiore o di scuola primaria che sia disponibile a votare sì al referendum per la riforma della Costituzione. Che brutta cosa, abbiamo pensato a Magna Carta. Non tanto per il danno apportato al fronte del sì perché, è noto, quando gli intellettuali si mobilitano in blocco portano male. Ma per l'immagine dell'Italia. Perché, se al cospetto di un voto come quello del 25 e 26 giugno non si trova un alfabetizzato disposto a confessare che vota sì, qualcuno potrebbe legittimamente ritenere che ci si trova ad un passo dal regime.
Non avendo notizie fresche sul ritorno in patria di Umberto Eco e avendo noi di Magna Carta persino vinto qualche concorso pur non essendo di sinistra, ci siamo detti: vale la pena predisporre un appello pubblico per il sì. Per amore di patria più che altro: non si sposterà un voto ma, quanto meno, l'onore dell'Italia sarà salvo! Detto fatto. Ci siamo ritrovati una sera nei locali della fondazione in una ventina tra costituzionalisti, storici delle dottrine, delle istituzioni e filosofi della politica e, dopo amichevole discussione, si è partorito l'appello. Per dare un senso a questa pratica lo si è formulato criticamente, indicando i punti forti della riforma costituzionale del centro-destra (quelli che c'inducono a votare sì) ma anche i suoi limiti (quelli che potrebbero suscitare un'iniziativa bipartisan dopo il voto). Questa struttura è nata dalla convinzione che un documento di uomini di cultura ha senso se non assolve a una funzione militante ma prova a dare un contributo effettivo all'avanzamento del dibattito pubblico.
Passiamo al fatto. L'appello non ha suscitato grande eco all'esterno. Tanti contatti sul sito di Magna Carta (www.magna-carta.it) ma, per quanto concerne la grande, la media e la piccola stampa solo Il Giornale ne ha ripreso il testo. All'improvviso, però, esso è assurto a immeritata fama. Lor Signori si sono passati la voce, come si dice in gergo. In principio è stata Anna Finocchiaro che, discorrendo con i giornalisti, ha affermato che nel manifesto di Magna Carta ha trovato ottime ragioni per votare no. Il giorno dopo il professor Sartori, nel rispondere a dei suoi interlocutori abituali (Calderisi e Taradash), sulle pagine del Corriere della Sera ha nuovamente fatto riferimento all'appello di Magna Carta per evidenziarne due aspetti: le firme in calce avrebbero appena scalfito l'unanimità dei consensi che il fronte del no aveva raccolto tra i costituzionalisti. Quanti hanno firmato quell'appello, poi, si sarebbero macchiati di qualcosa di assai prossimo all'indignità morale. Non questioniamo il commento: da tempo Sartori, anziché criticare, insulta. Non capiamo neppure perché un politologo parli a nome dei costituzionalisti ma, come Ferrini un tempo, ci adeguiamo. Quel che è parso tanto strano, è che nell'occasione non sia stato citato il documento incriminato dal Grande Inquisitore di via Solferino. Forse è il segno dei tempi. E il giorno dopo Antonio Polito, sulle colonne del Riformista, ce lo ha confermato. Anch'egli non si è preoccupato per un attimo di accertarsi se il giornale del quale risulta essere il Fondatore (brutta sindrome!) avesse mai informato dell'appello. Ha omesso di citare i meriti della riforma in esso rilevati. Ne ha estrapolato la sola parte critica ed è giunto ad una conclusione: nell'appello di Magna Carta vi è la prova dell'imperizia, dell'arroganza, del baratto politico dei promotori della riforma. Come si sono permessi: hanno voluto far da soli pur non essendo di sinistra e - ciò che agli occhi del Fondatore è ancor più insopportabile - «l'hanno fatta strana»: pensate, in una baita! Da ultimo Roberto Zaccaria, a «Uno mattina», ha citato l'appello di Magna Carta per rafforzare il suo convinto appello per il no.
È evidente: non ci vogliono stare. Sentendosi una nomenklatura che, schierata all'inpiedi e plaudente sotto un grande cartello «Comitato per il no», controlla il 100% dell'intellighentia, sono stati mandati in tilt da una sparuta pattuglia di uomini liberi che non hanno rinunziato all'uso del cervello e ritengono ancora, pensate un po' che pretesa, di poter esprimere un voto convinto, senza per questo trasformarsi in tifosi da curva ultras. Insopportabile, si saranno detti, bisogna riassorbirli! O, quanto meno, dimostrarne l'insignificanza. Per questo, si sono messi a sparare cifre a vanvera. Bassanini è arrivato ad affermare che il no avrebbe raccolto il 90% dei costituzionalisti (chissà perché poi gli storici, fossero pure delle istituzioni, non valgono!). Abbiamo fatto i conti, per tigna più che per effettivo interesse: gli strutturati nei settori che il Comitato del No giudica «degli ottimati» (ius 08,09,10 e 21) sono 1083. Di questi, 179 nomi compaiono nell'appello di Astrid: il 16,5%, se la matematica non è un opinione.
Ma il non saper far da conto rimanda ad altri vizi, assai più profondi, tenuti in vita da un troppo basso tasso di liberalismo. Essi non hanno ancora compreso che, presentando il referendum una struttura binaria (sì o no), la scelta non è un'adesione ideologica ma un'opzione per forza di cose empirica e parziale. E non c'è niente di male che sia così se il processo costituente non sarà più mitizzato e lo si approssima, invece, alle trasformazioni che ogni giorno propone la società. Chi ha questa concezione, non ha difficoltà a distinguere, in una proposta di revisione costituzionale, tra i principi di fondo e i meccanismi immaginati per porli in atto. Può ritenere ben individuati i primi e bisognosi i secondi, invece, di correzioni.

Insomma: può persino permettersi di votare un convinto sì, senza tacere i limiti della riforma. E lo può fare pubblicamente, anche se per quel residuo paretiano di comunismo e catto-comunismo che ancora la infesta, gran parte dell'intellighentia italiana non riuscirà a comprenderlo.

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