Cento bambini sotto le macerie della scuola

Orrore senza fine alla periferia di Port-au-Prince: dopo il crollo del soffitto per giorni si sono uditi i lamenti, sempre più flebili, dei piccoli sopravvissuti. Ma i soccorsi non sono mai arrivati. Probabilmente sono tutti morti

Cento bambini sotto le macerie della scuola

Puoi far finta che la «cosa» non ti riguardi. Perché la «cosa» è accaduta lontanissimo da casa tua, addirittura dall’altra parte del mondo. Una volta si diceva: quando una «cosa» avviene «tanto fuori», la notizia «non interessa». Una volta. Oggi no. Basta un clic. E il video dello sciacallo massacrato dalla folla e trascinato nudo tra le strade di Port-au-Prince ti fa quasi sentire l’odore del sangue e della carne dilaniata.
Cosa sta succedendo ad Haiti? Si vedono sagome che si aggirano armate di machete, ma non è un game della Playstation. Si vedono macerie da cui spuntano mani e piedi, ma non è un film horror. La realtà - qui - fa più paura. Ad Haiti il dramma non conosce dead line, la tragedia viene scandita da un timer senza orario. I bambini sono prede facili. Sembrano trovarsi lì solo per essere ghermite. Per loro il destino ha artigli implacabili. Breaking news della Cnn: «Cento bambini rimasti sepolti sotto le macerie della loro scuola crollata a Leogane, a ovest di Port-au-Prince». Dopo il crollo del soffitto per giorni si sono uditi i lamenti, sempre più flebili, dei piccoli sopravvissuti. Ma i soccorsi non sono mai arrivati. Probabilmente sono tutti morti. Il sindaco di Leogane, Santos Aleaxis, non è stato in grado di confermare o smentire la notizia della Cnn: «Non lo so. L’unica cosa che posso dire è che qui è crollato tutto. Ospedale, case, scuole. Non sono in grado di dire quante persone siano morte. Io ne ho contate finora 4.302».
Nella capitale, in balia dei saccheggi, il governo ha imposto il coprifuoco». Violenze che non hanno risparmiato i soccorritori: «Trenta americani sono stati feriti mentre distribuivano aiuti», scrive la France Presse. Settantamila i cadaveri sepolti nelle fosse comuni. Più del triplo giacciono ancora in strada, coperti da pietosi teli che, fino a qualche giorno fa, erano bianchi. Ora anch’essi hanno assunto il colore grigio della morte. Una cappa fatta di polvere. Se l’inferno esiste non può essere peggiore di questo. Terrore e lutti si mischiamo a politica e burocrazia: «Il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon ha chiesto 1.500 poliziotti e 2.000 Caschi blu in più sull'isola»; «Governo Usa sotto accusa: ha trasformato l’isola in una base militare». Intanto la Farnesina conferma la seconda vittima italiana, il funzionario Onu Guido Galli. Due i nostri connazionali che ancora mancano all’appello: Antonio Sperduto che lavorava al Caribbean Market e Cecilia Corneo dispersa tra le rovine dell’Hotel Christopher.
La Croce Rossa parla di «situazione catastrofica e violenze e sacchegi in aumento». Anche per questa ragione gli Stati Uniti hanno incrementato la presenza militare sul campo, schierando oltre 13.000 soldati. Bill Clinton è atterrato con un aereo «carico di viveri, acqua, medicine, batterie solari, radio portatili, generatori». Ma il problema non è tanto portare aiuti, ma trovare il sistema perché servano effettivamente a qualcosa...
Stesso discorso per Bruxelles, dove la Commissione europea e ha stanziato 400 milioni di euro. Arriveranno mai a destinazione? Impossibile non nutrire forti dubbi. Operazioni di facciata cui partecipa pure l’Italia: nei prossimi giorni salperà la portaerei Cavour, a bordo mezzi e militari per far fronte soprattutto all’emergenza sanitaria.
A 126 ore dal sisma, le squadre di soccorso ieri hanno estratto due persone vive e per la prima volta sono arrivate le autobotti nel quartiere Dalmas di Port-au-Prince. Ovunque code lunghissime: in coda per un bicchire d’acqua, in coda per un pugno di cibo, in coda per una coperta. Le tendopoli sono ancora una chimera. Riuscire a sopravvivere è già un grande risultato. Il popolo haitiano lo sa bene, forse per questo canta e prega aggrappandosi disperatamente al nulla. Qualcuno parla di «primi segnali di speranza», ma c’è da credergli? «Nella zona di Delmas, quella dello stadio, alcuni muratori stanno tirando su delle pareti...». Sarà vero?
«I sopravvissuti di Port-au-Prince vagano come zombie», denunciano le organizzazioni umanitarie internazionali, chiedendo «che si faccia presto, che i soccorsi vengano finalmente incanalati in una catena di comando organizzata e strutturata». Al momento, solo una pia illusione.
Anche le località intorno a Port-au-Prince sono completamente distrutte: il 90 per cento degli edifici è crollato a Leogane, 19 chilometri a ovest della capitale; nei mega-quartieri di Carrefour e Petionville i feriti arrivano nell’unico ospedale diroccato su carretti di fortuna o trasportati a braccia. La Croce Rossa Internazionale e Medici senza Frontiere sintetizzano la tragedia: «Ci sono cadaveri gonfi e in decomposizione nelle strade. Il rischio epidemie è dietro l'angolo: servono toilette, tende e cucine da campo. Quando arriveranno i medici stranieri con le attrezzature, per molti feriti e malati potrebbe essere troppo tardi».


Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio e capo della Protezione civile Guido Bertolaso ha criticato, ieri a Bruxelles, una grave mancanza di coordinamento degli aiuti internazionali d’emergenza, sostenendo che le Nazioni unite «avrebbero dovuto incaricare subito una delle loro agenzie, affidando al suo direttore il compito di dare direttive e di decidere chi fa che cosa e in quale settore».
Altro che «segnali di speranza»...

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