Quello su Simone Pianetti sarebbe un soggetto perfetto per un film di Quentin Tarantino - anche perché nel tempo ha ispirato diverse opere creative. Però è una storia vera, almeno in parte. Perché una vicenda di cronaca nera ambientata alla vigilia della Prima Guerra Mondiale conserva una patina di mito, di leggenda, dato che, si sa, le storie orali passano di bocca in bocca modificandosi. Ma fortunatamente c’è chi ha cercato di ristabilire la verità storica nella vicenda dell’“immortale della Valbrembana”: si tratta di un suo pronipote, Denis Pianetti, che ha scritto il corposo volume “Cronaca di una vendetta - La vera storia di Simone Pianetti”, alla sua terza edizione per CorpoNove.
“Il libro è nato dalla mia curiosità personale - racconta a Il Giornale Denis Pianetti - In famiglia si provava sempre un po’ di vergogna per questa storia, per cui genitori e nonni in genere non ne parlavano mai. Fu un professore a scuola a chiedermi se fossi discendente di Simone Pianetti: da lì la famiglia iniziò a parlamene e io cominciai le mie ricerche tra le cronache dell’epoca. Mi è sempre piaciuto indagare ma questo mistero era incredibile. Inoltre ero affascinato dalla psicologia del personaggio, dalle sue ragioni, non per giustificarlo ma neppure per demonizzarlo: le circostanze lo portarono all’esasperazione”.
Sette omicidi in tre ore
La mattina del 13 luglio 1914 Simone Pianetti, un imprenditore lungimirante ma ridotto in povertà per aver subito l’ostracismo da parte degli abitanti del suo stesso territorio, uccide appunto 7 persone tra Camerata Cornello e San Giovanni Bianco, entrambi comuni della Valbrembana. Ma in realtà, sulla sua lista di morte, le vittime avrebbero potuto essere molte di più. “Simone Pianetti viene ricordato come il vendicatore che va oltre le istituzioni, ma in realtà è un uomo che si è trovato in un momento difficile, ostacolato da molte persone, che ha trovato la soluzione più estrema, benché ce ne fossero altre - come, per esempio, spostarsi in un’altra zona. La leggenda poggia su un comparto letterario, musicale, teatrale e folkloristico che negli anni l’hanno elevato a figura mitica”.
Alle 5.30 del mattino Pianetti si mette infatti alla ricerca del notaio Giuseppe Arizzi, dell’oste Canali e del ragionier Palanca, senza trovarli. Alle 7 torna a casa per armarsi e alle 9.30 uccide il medico Domenico Morali. Alle 10 va a casa del sindaco Cristoforo Manzoni senza trovare neppure lui: trova invece alle 10.50 l segretario Abramo Giudici e la figlia Valeria. Alle 11 ammazza ancora il giudice Ghilardi nella sua casa, e alle 11.10 sul sagrato della chiesa il parroco don Camillo Filippi e il messo comunale Giupponi. Poi un’altra buca: alle 12 si reca dall’oste Pietro Bottari ma anche lui è assente. L’ultimo omicidio è quello di Caterina Milesi alle 12.30. Una cronologia di morte che ha un movente ben preciso: la vendetta.
“I soprusi subiti lo portarono all’esasperazione. Aveva una visione imprenditoriale molto moderna, forse dovuta al periodo in cui aveva vissuto negli Usa: rientrato in un ambiente che al tempo era retrogrado, si è dovuto scontrare con la chiusura mentale dei compaesani e con le superstizioni”.
Perché gli omicidi
Nel 1914 Simone Pianetti è l’ombra di se stesso. È un uomo invecchiato, che si aggira per San Giovanni Bianco con un foglio: lì ci sono scritte in una lista le persone che deve uccidere. Nessuno sa però quante e chi siano, sebbene nel tempo si siano ventilate diverse ipotesi.
Classe 1858, Pianetti ha alle spalle un’esistenza avventurosa, ma ha dovuto ingoiare tanti bocconi amari. In paese, a Camerata Cornello, si favoleggia che abbia sparato al padre in una data non ben precisata tra il 1880 e il 1881: provetto cacciatore, si dice che Pianetti abbia sbagliato mira, il che rende ancor più incredibile la leggenda, perché Pianetti non sbagliava mai.
Quel che è certo è che nel 1882 va a vivere negli Usa, dove si ritrova ad affrontare coraggiosamente la Black Hand, la mafia statunitense. Ma al suo ritorno, nel 1892, non è cambiato molto: le voci sul suo conto gli attribuiscono simpatie anarchiche e si dice - naturalmente si tratta di pettegolezzi privi di fondamento - che fosse in contatto con Gaetano Bresci.
L’anno dopo, il 1893, si sposa con Carlotta Marini, con la quale dà alla luce 8 figli, tra cui Nino, il primogenito nato nel 1894. La famiglia vive a Camerata Cornello, dove inizia a svilupparsi un vivace turismo soprattutto termale. Ma a Pianetti viene il colpo di genio: apre un alberghetto, dove la sera si tengono serate danzanti.
Sarebbe normale ai giorni nostri, ma all’epoca no: il parroco don Camillo lo osteggia, lanciando strali dall’altare e pian piano inizia un boicottaggio da parte della popolazione. Boicottaggio che si conclude con il fallimento dell’alberghetto e la famiglia Pianetti che ripara a San Gallo nel 1909, accompagnata da un’“orchestra” di pentole e padelle delle Figlie di Maria, capeggiate da Valeria Giudici.
Nel 1910 i Pianetti si trasferiscono a San Giovanni Bianco e il genio imprenditoriale di Simone non si ferma: la tecnica della trasformazione agricola fa passi da gigante e lui decide di aprire il primo mulino elettrico della zona. Ma, dopo un primo periodo fiorente, anche questa attività fallisce: le persone sono superstiziose e dicono che la sua è la “farina del diavolo”, un ingrediente che causa malattie. In realtà, un’epidemia di pellagra in quel periodo non ha nulla a che fare con la farina di Pianetti.
Che si ritrova nuovamente senza lavoro. Molte sono le persone che gli hanno fatto del male finora: qualcuno a livello burocratico, qualcun altro come Milesi ha presentato un certificato medico falso per cui sarebbe stata avvelenata dalla sua farina, ci sono dei problemi con una proprietà che il parroco vuole comprare sottocosto da suo fratello. Ma i problemi peggiori sono con il medico Morali: il dottore nega a Pianetti un certificato di povertà, ha dei contrasti con lui per il pagamento della farina e infine non diagnostica al figlio Aristide un’appendicite, problema per cui Pianetti tribolerà non poco dal punto di vista emotivo ed economico. Per tutte queste ragioni, Simone Pianetti mette in atto la sua vendetta.
“Una delle ipotesi è che lui sia stato ostacolato per invidia: proveniva da una famiglia benestante, aveva potuto studiare e vivere in America. Aveva un carattere forte e non si faceva pestare i piedi, forse anche per questo non era ben visto nel circondario. La componente caratteriale gli avrà creato inimicizie che si sono ripercosse sulle sue iniziative imprenditoriali. Si era perfino iscritto alle liste elettorali: voleva diventare sindaco o comunque entrare nella vita politica, ma contro di lui si era accanito il segretario comunale. La gogna popolare è stata una reazione alla sua ambizione”.
Simone Pianetti diventa l’“immortale della Valbrembana”
Subito dopo il settimo omicidio, Pianetti prende la strada dei boschi e se ne perdono le tracce. Ci sono degli avvistamenti, non tutti esattamente confermati: quel che è certo è che alcuni giorni dopo l’uomo incontra il figlio Nino, che gli consiglia di costituirsi. “Diversi giornalisti giunsero da ogni parte d’Italia per seguire il caso. Alcuni si sono perfino spinti sulle montagne a dorso di mulo durante le ricerche del latitante: per loro era una vicenda romanzesca e appassionante, che raccontavano con enfasi. E non mancavano persone che venivano a visitare i luoghi degli omicidi e della fuga, un po’ come accade oggi”.
Le ricerche proseguono e impiegano 300 uomini tra esercito, gendarmi, carabinieri e alpini, ma Pianetti non si trova. Neppure è presente al processo, che inizia il 24 maggio 1915, una data in cui è accaduto qualcosa di molto più importante - l’ingresso dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale - e quindi la vicenda, che tanto aveva interessato i media locali e non solo, passa in sordina. Quattro giorni dopo Pianetti viene condannato all’ergastolo in contumacia.
Non si sa più nulla di lui. Non esiste un certificato di morte presunta - per questo viene ritenuto l’“immortale della Valbrembana”. Nel tempo c’è chi afferma di averlo avvistato in Sud America, di averci parlato. C’è chi dice che invece sia morto suicida nel 1914 tra le montagne. Una delle ipotesi, benché rocambolesca, tra le più plausibili, è che Pianetti sia in effetti migrato, probabilmente con documenti falsi, per poi rientrare in Italia sotto mentite spoglie e morire a Milano, forse nel 1952.
“È impossibile avere certezze sulla morte di Simone Pianetti. I figli sono morti tutti intorno agli anni ’80, quindi ho potuto ascoltare solo i famigliari che almeno avevano conosciuto il figlio Nino. Questi diceva talvolta che il padre si fosse suicidato, talaltra che fosse morto a casa sua a Milano. L’ipotesi della fuga è la più accreditata anche per via delle testimonianze e c’è un documento della questura che accenna a un certo improbabile Simone Pianetti di rientro dall’estero nel ’42-’43.
Il mistero resta: si dice che sia morto nel ’52, tuttavia se fosse morto prima, con gli stessi documenti falsi potrebbe essere stato sepolto in un cimitero milanese nei pressi della casa del figlio. Ma non si potrebbe mai risalire a questa eventualità, perché quel cimitero fu bombardato nella Seconda Guerra Mondiale”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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