"A volte pensavo fosse meglio non vivere". I 161 giorni di prigionia nelle prigioni di Putin

Oltre 8.000 ucraini sono attualmente detenuti in Russia, e decine di migliaia di persone risultano scomparse. Olena, 52 anni, racconta la sua detenzione, tra torture e lavori forzati

"A volte pensavo fosse meglio non vivere". I 161 giorni di prigionia nelle prigioni di Putin

Olena Yahupova, 52 anni, è un’attivista piuttosto conosciuta in Ucraina. È una delle poche donne che testimoniano apertamente ciò che le è accaduto durante la prigionia russa, inclusa la schiavitù sessuale. Olena afferma che dimenticare quanto vissuto sarebbe un crimine contro migliaia di ucraini che ancora languiscono nelle prigioni del Cremlino. Secondo i dati ufficiali sono oltre 8.000 le persone fatte prigioniere dall’esercito russo. Dall'inizio dell'invasione su vasta scala l'Ucraina è riuscita a riportare a casa meno di 200 civili. La maggior parte di loro manterrà per sempre il silenzio su ciò che è successo, per proteggere i propri cari che vivono ancora nei territori occupati. Olena considera suo dovere raccontare la verità sui crimini della Russia, anche per tutti coloro che non possono farlo per ragioni di sicurezza.

Il 6 ottobre 2022 è il giorno che ha cambiato per sempre la vita di Olena, che lavorava come archivista a Kamianka-Dniprovska, nella regione di Zaporizhzhia. A quel tempo la sua città era già occupata dalle forze russe. "Un’atmosfera di paura e terrore prevaleva tra gli abitanti", racconta Olena, "perché le persone scomparivano in pieno giorno e nessuno le vedeva più". Lasciare la città era pericoloso a causa dell'alto rischio di essere colpiti durante i bombardamenti. "Anche nei miei peggiori incubi, non potevo pensare che mi potesse succedere qualcosa del genere: alcuni veicoli militari quel giorno si sono fermati davanti a casa mia, e agenti dell'FSB (Servizio di Sicurezza Federale della Russia) insieme ai combattenti della autoproclamata “Repubblica Popolare di Donetsk”, hanno messo tutto sottosopra e mi hanno trattato peggio di un animale".

La donna è stata portata al comando militare per essere interrogata con l’accusa di aver aiutato l'esercito ucraino. Il fatto che suo marito prestasse servizio nell’esercito ucraino era una ragione sufficiente perché i russi la sottoponessero a brutali interrogatori e torture. "Volevano sapere dove fosse mio marito, ma poiché non lo sapevo hanno iniziato a torturarmi. Durante l'interrogatorio sono stata colpita alla testa con una bottiglia d'acqua da due litri. Le mie mani erano legate alla sedia". Olena sostiene che le percosse si sono alternate allo strangolamento, le hanno messo un sacchetto di plastica sulla testa, gliel'hanno legato intorno al collo con dello scotch e l'hanno strangolata con il filo di un bollitore elettrico. Dopo i colpi ricevuti non le è stata fornita alcuna assistenza medica. "Mi è stato persino rifiutato un panno per lavare via il sangue", dice Olena.

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Prima della guerra su vasta scala, Olena conduceva una vita normale e lavorava come archivista. È madre di tre figlie adulte e moglie di un militare ucraino

Dopo il primo brutale interrogatorio Olena è stata trasferita in un centro di detenzione preventiva, dove gli interrogatori sono continuati. Sotto costrizione è stata costretta a rilasciare un'intervista all'agenzia russa RIA Novosti. "Mi hanno scritto un copione in cui dovevo dire che fornivo a mio marito le coordinate per i bombardamenti. Rifiutarsi era praticamente impossibile, avevo delle persone con le armi puntate su di me".

La schiavitù lavorativa: scavare trincee in guerra

A Olena era stato promesso che dopo l’intervista sarebbe stata rilasciata, ma invece, insieme ad altri prigionieri ucraini, è stata mandata a scavare trincee per i militari russi in una situazione di schiavitù lavorativa. Il gruppo era composto da 18 persone, tra cui tre donne. Lavoravano tutto il giorno scavando trincee e costruendo fortificazioni. Di notte dormivano sul pavimento di una casa abbandonata, su vecchi materassi. Ricevevano un solo pasto al giorno e per giunta molto scarso. "Era inverno, gennaio, faceva freddissimo. Mi sdraiavo sul pavimento e i topi correvano su di me. Un guardiano armato sorvegliava dall'esterno, per impedire a qualcuno di scappare".

Le persone venivano costrette a lavorare 10-15 ore al giorno. Per le donne il lavoro era particolarmente faticoso, così furono presto assegnate ad altri compiti: lavare, cucinare e pulire le case occupate dai soldati russi. Proprio lì, racconta Olena, le donne subivano violenze sessuali. "Lavoravamo tutto il giorno, poi ci dicevano: "Ora resti qui, perché così ho deciso io"… C’erano cinque ufficiali che vivevano in quella casa occupata. E in quel momento pensavo: “Forse è meglio non vivere affatto che vivere così?" L'unica cosa che mi teneva viva erano i pensieri su mio marito e i miei figli."

Una delle guardie un giorno, mosso da pietà verso i prigionieri, diede segretamente un telefono a uno di loro. In questo modo i loro parenti vennero a conoscenza del luogo della prigionia e iniziarono a contattare le organizzazioni internazionali. Gli ufficiali delle indagini penali del Ministero degli Affari Interni della Federazione Russa arrivarono per interrogare gli ucraini e poi li rilasciarono.

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Olena con suo marito. Quando lei lo chiamò, lui non riusciva a smettere di piangere.

Dopo la prigionia Olena ha scoperto che la sua casa era stata saccheggiata, le auto di famiglia rubate e i suoi cani uccisi a colpi di pistola. A causa delle torture subite ha riportato disabilità e sta ancora cercando di recuperare la salute. Da allora, Olena ha dedicato completamente la sua vita a testimoniare sui crimini commessi contro di lei per assicurare i colpevoli alla giustizia.

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Olena ha dedicato la sua vita a testimoniare i crimini dell'aggressore

"Se sono sopravvissuta non ho il diritto di tacere. Tra tutti i prigionieri liberati solo io non ho parenti nei territori occupati. Migliaia di persone sono ancora torturate nelle prigioni russe, e se rimanessi in silenzio tradirei tutti loro. Il mondo penserebbe che nelle aree occupate si viva bene, ma in realtà lì è in corso un genocidio". Subito dopo l'intervista Olena ha iniziato a preparare le valigie. Si unirà ai parenti dei prigionieri russi in un viaggio a Strasburgo, Francoforte e Ginevra. Lì, gli ucraini incontreranno il Presidente dell'APCE, il Commissario del Consiglio d'Europa, i rappresentanti dell'ONU e del CICR. Il mondo deve sapere che i prigionieri ucraini hanno bisogno di aiuto.

Sentenze reali nei tribunali fantoccio

"Ciò che è accaduto a Olena non è un caso isolato", afferma l'avvocata Iuliia Polekhina del Gruppo per i Diritti Umani "SICH" che sta assistendo Olena dal punto di vista legale. "Di solito i civili vengono rapiti nei territori occupati a causa della loro opposizione al regime invasore e della loro posizione filo-ucraina. Il peggio è che, una volta catturati dai russi, i civili perdono ogni contatto con il mondo esterno: non possono comunicare con i loro familiari, non hanno accesso a un avvocato indipendente, cure mediche e a un'alimentazione adeguata. Durante la prigionia, Olena ha perso 10 kg", spiega l'avvocata.

La Russia non permette alle organizzazioni internazionali di accedere ai luoghi di detenzione. Ecco perché, secondo i difensori dei diritti umani, i civili ucraini rimangono invisibili al mondo. Mentre i soldati vengono restituiti attraverso scambi ufficiali, non esiste ancora alcun meccanismo internazionale per obbligare la Russia a rilasciare i prigionieri civili ucraini. "Un tale meccanismo dovrebbe essere creato con la mediazione di un terzo paese neutrale e con la partecipazione del CICR. Tuttavia, questo è improbabile senza modifiche alle norme delle Convenzioni di Ginevra, che non sono cambiate dalla Seconda Guerra Mondiale. Attualmente, le Convenzioni di Ginevra proteggono solo i prigionieri di guerra. Queste modifiche potrebbero essere introdotte dai membri del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, ma deve essere l'Ucraina a prendere l'iniziativa", aggiunge Iuliia Polekhina.

La Russia deve fornire all'Ucraina informazioni complete sui civili detenuti e garantire un'adeguata difesa legale a coloro contro cui sono già in corso procedimenti legali. Coloro che sono detenuti senza accuse formali dovrebbero essere immediatamente rilasciati. Ma perché vengono ancora trattenuti? "Perché la loro condizione è così terribile che hanno paura di mostrarla al mondo", dice l'avvocata, "in modo che non possano testimoniare. Invece è più facile emettere condanne a 15-20 anni in tribunali fantoccio".

I soldati russi mi hanno "liberato" da mio padre

I civili sono spesso accusati di essere soldati sotto mentite spoglie, di aiutare i militari o di essere "spie" o "terroristi". Questo è quello che è successo al padre di Karina Dyachuk di Kiev, che è stato arrestato a un posto di blocco russo mentre cercava di evacuare sua moglie e suo figlio dalla Mariupol occupata. Un uomo che era stato impegnato nella riparazione di auto per tutta la vita è stato accusato di essere un militare sotto mentite spoglie. I russi hanno nascosto il fatto che era detenuto nella SIZO di Kursk e non gli hanno permesso di avere un avvocato. I prigionieri sono stati brutalmente torturati. Alcuni civili sono tornati con dita mozzate, arti congelati e reni compromessi. "I russi li hanno costretti a confessare sotto tortura che erano soldati travestiti da civili", dice Karina.

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Karina con suo padre dopo la liberazione

Il padre di Karina evita le interviste, poiché l'esperienza della prigionia è stata troppo traumatica. Nelle prigioni russe, ha perso 30 chili e la sua salute si è gravemente compromessa. "A 52 anni sembrava un adolescente. Nel corso della prigionia ha subito la rottura di alcune costole e gravi ferite alle gambe. La sua condizione fisica e mentale è stata messa duramente alla prova". Per riuscire a liberare suo padre, Karina è diventata un'attivista per i diritti umani e, insieme ad altri sostenitori, ha fondato l'organizzazione "Civili in prigionia", che riunisce oltre 300 familiari di prigionieri civili. Ad oggi solamente 10 di loro sono stati riportati a casa. "Organizziamo manifestazioni pacifiche e dialoghi con le autorità ucraine per accelerare il processo di liberazione dei civili dalla prigionia russa. È necessario fermare in qualsiasi modo le violazioni dei loro diritti e garantire un accesso immediato ai luoghi di detenzione da parte delle organizzazioni internazionali. Inoltre, ci occupiamo della protezione sociale dei civili una volta tornati, poiché l'Ucraina, come qualsiasi altro paese, non era preparata a un numero così elevato di rapimenti e detenzioni di civili".

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Karina tiene un cartello con scritto: "Abbracciami se anche tu senti la mancanza di una persona cara"

Secondo gli ultimi dati del Quartier Generale di Coordinamento per i prigionieri di guerra, oltre 8.000 ucraini sono attualmente detenuti in Russia, e decine di migliaia di persone, sia civili che militari, risultano scomparse. Nell'ambito degli scambi ufficiali, la Russia ha restituito all'Ucraina oltre 3.500 prigionieri di guerra, ma tra i civili il numero non arriva nemmeno a 200. Il processo di negoziazione con la Russia in questo ambito è sostanzialmente fermo, ribadiscono dall'Ufficio dell'Ombudsman ucraino.

"Il processo negoziale per la liberazione e il ritorno dei nostri cittadini è complesso e dipende in gran parte dalle azioni della Federazione Russa. Tuttavia, la cooperazione con stati che hanno un'influenza internazionale significativa può aiutare l'Ucraina a esercitare ulteriore pressione sulla Russia e a ottenere un sostegno internazionale più ampio", ha commentato Tetiana Shelest, rappresentante dell'Ufficio.
"I problemi connessi alla detenzione esistono in ogni parte del mondo - sostiene l’avvocato Emiliano Bartolozzi, coordinatore nazionale dei Comitati Fidu - Europa inclusa. Il problema è il livello di gravità dei problemi di cui si parla. Anche l’Italia è stata più volte condannata dalla Corte di Giustizia Europea per non aver rispettato i diritti dei carcerati. Ma stiamo parlando, nella grandissima parte dei casi, di sovraffolamento delle carceri, come nel caso Sulejmanovic".

La Corte di Giusitizia Europea – continua Bartolozzi - ha infatti individuato in 7 mq lo spazio minimo da dedicare ad un carcerato e non sempre l’Italia è riuscita a rispettare questi Standard. Nel caso della Russia invece le cose sono molto più gravi di quanto non lo siano in Italia e nel resto della UE. Qui si tratta molto spesso di casi di tortura e non di “mancanze” oltre che di condanne in base a processi sommari dove il diritto di difesa è in pratica azzerato. In Ue stiamo cercando di affermare il principio che la privazione della libertà dovrebbe essere considerata come una sanzione o una misura di ultima istanza e dovrebbe pertanto essere prevista soltanto quando la gravità del reato renderebbe qualsiasi altra sanzione o misura manifestamente inadeguata, oltre al fatto che Stati membri della UE “dovrebbero esaminare l'opportunità di depenalizzare alcuni tipi di delitti o di riqualificarli in modo da evitare che essi richiedano l'applicazione di pene privative della libertà”.

La Russia invece – ribadisce il coordinatore della Federazione Italiana Diritti Umani - va in direzione opposta: processi politici, processi sommari, pene detentive severissime e quasi sempre ingiustificate. Non è un caso se il Consiglio d’Europa ha espulso la Russia già nel Marzo 2022. La situazione dei prigionieri ucraini in particolare è gravissima e la detenzione avviene non solo in violazione di qualsiasi norma e/o standard Europeo ma anche in violazione della stessa convenzione di Ginevra il cui art. 13 stabilisce che “I prigionieri di guerra devono essere trattati sempre con umanità. Ogni atto od omissione illecita da parte della Potenza detentrice che provochi la morte o metta gravemente in pericolo la salute di un prigioniero di guerra in suo potere è proibito e sarà considerato come una infrazione grave della presente Convenzione. In particolare, nessun prigioniero di guerra potrà essere sottoposto ad una mutilazione corporale o ad un esperimento medico o scientifico di qualsiasi natura, che non sia giustificato dalla cura medica del prigioniero interessato e che non sia nel suo interesse. I prigionieri di guerra devono parimente essere protetti in ogni tempo specialmente contro gli atti di violenza e d’intimidazione, contro gli insulti e la pubblica curiosità. Le misure di rappresaglia in loro confronto sono proibite”. Mi sembra – conclude Bartolozzi - che nulla di tutto ciò avvenga in Russia in questo momento".

Il 2 ottobre, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) ha adottato una risoluzione a difesa delle persone scomparse, dei prigionieri di guerra e dei civili in detenzione russa. In essa, l’Assemblea ha chiesto di garantire l’accesso senza ostacoli al Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) in tutti i luoghi di detenzione, oltre a creare un meccanismo internazionale per la liberazione dei prigionieri secondo il principio “tutti per tutti”.

L’APCE ha inoltre sollecitato l’adozione di sanzioni internazionali contro i funzionari russi coinvolti in questi crimini e l’avvio del loro perseguimento penale a livello internazionale. L’Assemblea ha sottolineato che continuerà a lavorare su queste questioni fino al completo rilascio dell’ultimo prigioniero.

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