Lunedì sera a Palazzo Chigi hanno compulsato il pallottoliere fine a tardi. Poi - preso atto che per eleggere Francesco Saverio Marini giudice della Corte costituzionale sarebbe stato impossibile arrivare alla soglia dei tre quinti del Parlamento riunito in seduta comune (363 voti su 605) - si è deciso di procedere con la scheda bianca. Una scelta dettata dai numeri, ma su cui Giorgia Meloni ha provato a resistere fino all'ultimo.
Non è un caso che la comunicazione via WhatsApp nella chat dei gruppi parlamentari di Fdi sia arrivata solo ieri a mezzogiorno, quando mancava poco più di mezzora all'inizio della votazione. Evidentemente, nella speranza che potesse cambiare qualcosa. Perché la scelta della premier di accelerare sull'elezione del consigliere giuridico di Palazzo Chigi alla Consulta non è frutto del caso, ma - su questo convergono numerose fonti di area centrodestra, ma pure di Pd e Azione - di un accordo con il M5s. Che nel segreto dell'urna avrebbe garantito alla maggioranza quel pugno di voti necessari a raggiungere il quorum di 363 (solo tre sulla carta, in verità almeno otto-dieci al netto delle assenze inevitabili come quella del ministro Antonio Tajani in visita di Stato in Argentina e con Meloni pronta a presentarsi a Montecitorio per votare). Un accomodamento, quello di Giuseppe Conte, che rientra nella partita in corso sulla Rai, con il M5s in pole position per la direzione del Tg3. L'Aventino invocato dalla segretaria dem Elly Schlein, però, ha rotto lo schema. E alla fine pure il M5s si è dovuto accodare per evitare che lo scambio fosse in chiaro. Il voto è sì segreto, ma solo se si ritira la scheda.
Non è un dettaglio. E se non c'è dubbio che la giornata di ieri sia a saldo negativo per Meloni, è altrettanto vero che l'opposizione ne esce a pezzi. Con un Aventino che non ha tanto come obiettivo quello di impedire l'elezione alla Consulta del giurista che ha scritto la riforma del premierato, ma quello di evitare che ancora una volta - come già accaduto sulla Rai - Conte si muova in autonomia rispetto al Pd. Non è un caso che sia su questo aspetto che puntano molti esponenti di Fdi, sottolineando come il problema sia l'opposizione che «non ha senso delle istituzioni» e «blocca l'Italia» nonostante l'appello di Sergio Mattarella a sanare il vulnus di una Corte costituzionale che ormai da quasi un anno non è a regime. E il problema, fanno notare a Palazzo Chigi, non può essere certo Marini. «Il preteso conflitto d'interessi del consigliere giuridico del presidente del Consiglio è un bluff!», fanno sapere da Fdi - e con tanto di punto esclamativo - ovviamente su input di Meloni. Con tanto di precedente: «Nel settembre 2022 venne nominato alla Consulta Marco d'Alberti, consigliere giuridico del presidente Mario Draghi». A farlo fu Sergio Mattarella (un terzo dei giudici costituzionali sono nominati dal Quirinale, un terzo eletti dal Parlamento e un terzo indicati dalla magistratura). E quindi - è il senso del ragionamento - se l'attuale capo dello Stato nel 2022 non ha avuto problemi a nominare il consigliere giuridico dell'allora premier Draghi perché dovrebbe destare scalpore che oggi la maggioranza voglia eleggere in Parlamento l'attuale consigliere giuridico di Meloni?
Tutte ragioni per cui la premier è intenzionata a tirare dritto su Marini e senza aspettare dicembre, quando scadranno altri tre giudici costituzionali e il pacchetto di nomine si andrà ad allargare (favorendo quindi un accordo tra maggioranza e opposizione). Secondo Meloni, infatti, il vulnus lo ha creato l'opposizione con l'Aventino, perché - è il senso del ragionamento - quando Fdi non era al governo sulla Consulta non si è mai tirata indietro, anche davanti a candidati niente affatto graditi.
E così - al netto della prossima settimana, perché mercoledì Camera e Senato saranno impegnate con le comunicazioni di Meloni in vista del Consiglio Ue - da lunedì 21 ottobre l'intenzione è quella di andare avanti a tappe forzate.
Con «convocazioni periodiche e d'intesa con la presidenza del Senato», fanno sapere gli uffici del presidente della Camera Lorenzo Fontana (che già lo scorso luglio sulla Consulta si era detto pronto a procedere a oltranza). Insomma, una votazione a settimana. Così fosse, per l'opposizione non sarà facile restare sulla linea dell'Aventino.
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