C'è o non c'è? Non bastano i maschietti, più o meno bravi, a dannarsi le nottate nella continua lotta esplorativa per una migliore conoscenza del corpo femminile. Anche gli studiosi - medici, dottori e professori - hanno fatto la propria parte per cercare di capire, di mettere nero su bianco, di dare una risposta. Eppure, fino a questo momento, è apparso tutto inutile: Accanirsi a cercarlo non porterà da nessuna parte. Per questo, è sbagliato sentirsi frustrati da una vita di tentativi falliti. Con buone probabilità, se il famoso "punto G" non si trova è perché non esiste.
A decretare la possibile fine di un mito ancestrale è un team di scienziati americani. Spulciando un campione di un centinaio di studi pubblicati negli ultimi sessant'anni si è cercato di fare un minimo di chiarezza su uno dei misteri più fitti della sessualità femminile: la presenza di una sorta di "interruttore del piacere" nell’organo sessuale delle donne. In quanti sono andati alla ricerca dell'area nascosta a "forma di fagiolo", dalla cui stimolazione dipenderebbe la felicità completa di una donna sotto le lenzuola. A partire dal 1950, quando il "punto G" è stato descritto per la prima volta dal ginecologo tedesco Ernst Grafenberg, si è scatenata un'infinita querelle scientifica (e non) sulla reale esistenza del "punto G". Tra conferme e smentite il dibattito resta ancora aperto.
Nel 2008, in uno studio di ecografia transvaginale pubblicato sul Journal of Sexual Medicine, il sessuologo italiano Emmanuele Jannini ha addirittura fotografato l'agognato "bottone del piacere". Un paio di anni dopo, in una delle più ampie ricerche in materia che ha coinvolto oltre 1.800 donne, gli scienziati del King’s College di Londra hanno, tuttavia, decretato l’assenza di evidenze scientifiche che autorizzassero a credere alla reale esistenza del "punto G". Per cercare di mettere la parola alla sfiancante diatriba, nel Connecticut Amichai Kilchevsky e i colleghi dello Yale-New Haven Hospital hanno provato a rileggere tutti gli studi sul "punto G" pubblicati dalla letteratura scientifica. La conclusione pubblicata sul Journal of Sexual Medicine è stata che "misure investigative obiettive non sono riuscite a produrre un’evidenza forte e consistente dell’esistenza di una regione anatomica correlabile al famoso punto G". Insomma, il magico "bottone" avrebbe ben poco di scientifico: l'esistenza sarebbe basata fondamentalmente sugli "aneddoti" di certe fortunate pazienti.
Il nuovo studio, pubblicato nei giorni scorsi, è frutto della revisione di studi clinici, case report e riesami di ricerche precedenti. Dai testi indiani come il Kama Shastra, "antenato" del più celebre Kamasutra, si passa ai lavori più recenti fino all’ipotesi avanzata nel 2010 dalla ginecologa francese Odile Bouisson secondo la quale il "merito" del piacere dipende, sempre e comunque, dal clitoride. Secondo l'autrice del libro Chi ha paura del punto G? Il piacere femminile un’angoscia maschile, durante il rapporto sessuale il clitoride assumerebbe una posizione particolare capace di determinare l’iper-sensibilità della porzione di parete vaginale, poi battezzata "punto G". La questione scientifica resta, comunque, aperta. Anche Kilchevsky lascia, infatti, un appiglio a chi non vuole rassegnarsi alla possibilità che il "punto" G sia solo una bella favola.
Se da un lato riflettono sul fatto che il suo mito, cresciuto negli anni Ottanta, sia figlio della liberazione sessuale della donna nella società occidentale, dall’altro non possono che ammettere: "Sebbene non siano state trovate prove inconfutabili dell’esistenza del punto G, report attendibili e testimonianze dirette della presenza di un’area altamente sensibile nell’apparato genitale femminile richiedono ulteriori considerazioni. Insomma, il giallo continua.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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