«Il centrodestra voterà no alla fiducia sull’Afghanistan»

Schifani (Forza Italia): mi dispiace per Marini, al Senato niente dialogo

Adalberto Signore

da Roma

Al Senato «nessuno sconto» annuncia il capogruppo di Forza Italia Renato Schifani. Che critica «l'uso disinvolto della fiducia» da parte della maggioranza, rimanda al mittente le aperture al dialogo di Franco Marini e ne ha anche per alcuni senatori della Cdl, rei di aver disertato l'Aula in occasione di due o tre votazioni cruciali «nella quali l'Unione sarebbe potuta andare sotto».
Senatore, perché l'appello al dialogo del presidente di Palazzo Madama non la convince?
«Perché purtroppo manca il contesto. Vede, io apprezzo e capisco il tentativo di Marini. Prodi si diverte a definire sexy la risicata maggioranza di cui gode al Senato (e se avesse detto una cosa simile Berlusconi sarebbe finito sul Time...), ma il presidente, che sa bene come funziona Palazzo Madama, è ben conscio che ogni volta che si vota il risultato è al cardiopalma. Una vera e propria partita a Risiko, dove gli occhi sono sempre puntati sul tabellone e le luci verdi e rosse sono in numero pressoché uguale. Se si mette in conto che in alcune occasioni l'Unione non è andata sotto solo grazie ad alcune nostre defezioni, è assolutamente comprensibile che nella maggioranza si stia facendo largo una sorta di terrore del voto».
E il contesto?
«Be’, se l'Unione respinge sistematicamente tutte le nostre proposte, ultimi in ordine di tempo gli emendamenti in materia fiscale sul decreto Bersani-Visco, mi pare inutile predicare il dialogo. Noi proviamo a fare un'opposizione non talebana e cerchiamo di essere costruttivi, ma dall'altra parte riceviamo solo attestati di arroganza politica. Mi spiace, ma le parole del presidente Marini sono destinate a rimanere inutilmente spese».
Parlava di alcune occasioni in cui sarebbe stato possibile mandare sotto l'Unione...
«Su 156 senatori di opposizione ce ne mancano sempre tre o quattro che ci impediscono di batterli. L'ultima volta martedì scorso, durante il voto sui presupposti di costituzionalità del decreto Bersani-Visco. È finita 156 a 151 per l'Unione, ma tra le nostre file c'erano cinque assenti. E, soprattutto, in caso di pareggio il testo non sarebbe passato».
Cinque assenti. Uno di Forza Italia, due della Lega e due dell'Udc...
«Guardi, alcuni erano giustificati. Uno di loro ha persino avuto un aneurisma. Certo, Mario Baccini che è vicepresidente del Senato e ha deciso di seguire Marini nella sua trasferta a Londra...».
Impegni istituzionali.
«Non si è mai visto un vicepresidente del Senato che accompagna il presidente. Con numeri così risicati poi. Direi proprio che si poteva evitare. Ma ora è arrivato il momento che i senatori della Cdl metabolizzino un dato: la loro presenza in Aula può essere determinante per mandarli a casa. Mi affido al loro senso di responsabilità».
Domani (oggi per chi legge, ndr) o martedì al più tardi, a Palazzo Madama l'Unione tornerà a chiedere la fiducia sul decreto Bersani-Visco. Poi, probabilmente giovedì, potrebbe toccare al decreto che rifinanzia la missione militare in Afghanistan. Lei ha più volte parlato di Senato delegittimato. «Lo ripeto. I parlamentari di Palazzo Madama non contano nulla. Nemmeno quelli della maggioranza. Al punto che io sono convinto di una cosa: questo governo non cadrà per incomprensioni politiche, sulle quali alla fine un'intesa riusciranno sempre a trovarla, ma perché arriverà il momento, magari fra uno o due anni, che qualche senatore della maggioranza sarà stufo di essere trattato come un burattino. Vuole un esempio?».
Prego.
«Ognuno di noi ha dei vincoli verso il proprio territorio e cerca, magari con lo strumento degli emendamenti, di portare avanti le battaglie che più gli stanno a cuore. Se i provvedimenti vanno in Aula sempre blindati con lo strumento della fiducia ci si ritrova a fare le marionette. I senatori dell'Unione eletti all'estero, per esempio, ora si troveranno a votare sì al Bersani-Visco che abolisce la no tax area per i residenti all'estero».
La fiducia potrebbe arrivare anche sul voto per l'Afghanistan. Come si comporterà la Cdl?
«Di certo non la voterà. In queste ore stiamo valutando se esprimerci per il no, cosa che a me pare la più giusta, o non partecipare al voto. È chiaro, infatti, che pure se siamo d'accordo con il merito del ddl, la nostra disponibilità a votarlo finisce nel momento in cui il governo decide di spostare il problema su un livello politico più alto. È lo stesso ragionamento, a contrario, che fanno i “dissidenti” della sinistra radicale. Ma c'è un altro elemento da tenere in considerazione.

L'Unione ha una maggioranza di 162 voti compresi i senatori a vita e se la fiducia dovesse passare con meno voti, allora Prodi dovrebbe dimettersi. Già porre la fiducia sulla politica estera è una dichiarazione di fallimento, se poi la maggioranza dovesse pure perdere pezzi...».

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