CHANDRA Mantra criminale

In «Giochi sacri» un poliziotto sikh, che ricorda Marlowe, alle prese con un superlatitante in crisi mistica

Ci sono voluti nove anni perché Vikram Chandra, congedato a malincuore con le ultime righe di Amore e nostalgia a Bombay, tornasse allo scoperto grazie a Giochi sacri (pagg. 1182, euro 22) uscito da Mondadori in questi giorni. Un tempo non trascorso invano per lo scrittore nato nel 1961 a Delhi che conferma, assieme al talento, la sua candidatura a prototipo di quel singolare miscuglio di tradizione e modernità che pare il tratto distintivo della cultura indiana.
Giochi sacri è un romanzo torrenziale e sinfonico, a tratti schizofrenico e frammentato, dove il quartetto d’archi che ha appena disegnato carezze liriche lascia il posto al suono distorto della chitarra elettrica, e sono sberle e coltelli. Chandra riprende il filo della narrazione grazie al poliziotto sikh Sartaj Singh, già protagonista di un racconto in Amore e nostalgia a Bombay. Nel frattempo la capitale del Maharashtra e mecca del cinema indiano è divenuta Mumbai, la mafia vi ha esteso il suo potere, le baraccopoli si sono moltiplicate e gli abusi e le violenze sono ormai abituali. Sartaj viene raggiunto da una soffiata che gli permette di localizzare il superlatitante Ganesh Gaitonde, asserragliato in un rifugio antiatomico. Dal suicido del boss parte un’indagine che coinvolgerà i servizi segreti indiani mettendo Sartaj su una pista all’incrocio fra terrorismo islamico e risposta nazionalista indù.
Il romanzo si muove lungo due tracce parallele: sulla prima vengono registrati i movimenti del poliziotto, la sua malinconica solitudine alla Marlowe, figlia di memorie dolorose; sull’altra è lo stesso Gaitonde che narra in prima persona la scalata ai vertici del crimine di Mumbai, le guerre fra bande, la passione per le belle donne, preferibilmente vergini. Poi la folgorazione mistica che parte da un banale problema di emorroidi contratto in carcere. Qui Gaitonde si accorge che lo yoga e il pranayama, cioè gli esercizi respiratori, possono aiutarlo («dovevo riporre fiducia nello yoga perché avevo il sedere in fiamme», racconta). E così, dopo averne constatato l’efficacia, diviene un cultore della disciplina che continua a praticare fra un assassinio e l’altro, fra un carico di armi e una partita di droga, seguendo l’esempio di killer abituali che sono vegetariani e fanatici dello yoga (Chandra spiega di essersi ispirato a delinquenti reali).
Nel descrivere personaggi che si muovono scompostamente fra azioni efferate e improvvisi cedimenti al sentimento, al bene e alla commozione, Chandra ricama le pagine migliori, mostrando di essere uno dei pochi scrittori anglo-indiani a proprio agio con le radici filosofiche e mistiche del Paese asiatico. È uno sguardo ambivalente, il suo, di chi vive fra Mumbai e Berkeley, e tuttavia non sa, o non vuole, rinnegare nulla. Così emerge la figura di Guruji, un esponente religioso indù che gira il mondo tenendo conferenze e fondando filiali della sua ricca missione. Ma non è il denaro che interessa il santone, bensì la bomba, mezzo per raggiungere la distruzione totale e quindi favorire il passaggio da questa era corrotta - in cui la vacca che simboleggia la legge cosmica, esausta, si regge su una zampa sola - a una nuova età dell’oro. E Gaitonde, che nel frattempo è divenuto suo discepolo e lo segue da una cerimonia all’altra, cantando i mantra e ricevendo benedizioni e consigli (l’idea di accoppiarsi con le vergini gli viene suggerita da Guruji), mette in moto la sua organizzazione criminale per reperire l’uranio arricchito.
Romanzo straordinario, perfetta sintesi di azione e riflessione, Giochi sacri è soprattutto il racconto della sterminata Mumbai, con «i suoi milioni di abitanti, la sua vita immensa e le sue morti irrisolte». Sartaj Singh ne percorre le strade in cerca del lieto fine che Chandra non gli nega: sulla sua motocicletta il poliziotto attraversa un concentrato di brutture metropolitane, dal tanfo dei gas di scarico che sale da un traffico magmatico alle squadre di operai sfaticati, dal frastuono delle radio gracchianti una sull’altra ai mendicanti storpi che provano a infilare i moncherini negli abitacoli delle auto ferme ai semafori. E poi ci sono venditori di orribili statuette made in China e risciò schiacciati contro gli autobus colmi all’inverosimile.

Certo resta il dubbio che i fantastici colori dei tramonti sulla città - arancio, rosa e porpora che sfumano uno nell’altro - siano solo il prodotto dell’inquinamento che sovrasta le lamiere delle baraccopoli come i tetti dei grattacieli. Ma è solo un momento, Sartaj Singh con le scarpe lustre e i baffi lisciati fa ingresso al commissariato per dare inizio a una nuova giornata.

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