Chi ha ucciso la cara vecchia borghesia?

La galleria Colonna sembra perfetta per la soluzione del giallo: che fine ha fatto la borghesia italiana? È un tempio dello shopping mondano, attraversi via del Corso e sbatti in faccia a Palazzo Chigi. È un pezzo di Nord sabaudo messo lì per santificare la conquista della capitale naturale, con i funzionari del nuovo Stato unitario che la guardano e quasi si sentono a casa. Nel 1930, quando il ’29 passa in Italia, è qui che inaugurano il museo di Roma. L’ultima firma è il nuovo nome della galleria: Alberto Sordi, arciromano e maschera di vizi e virtù dell’italiano medio. È qui che Giuseppe De Rita e Antonio Galdo stanno presentando L’eclissi della borghesia (Laterza). Con loro c’è un pezzo di mondo politico che parla di crisi e classe dirigente: Angelino Alfano, il ministro Andrea Riccardi e Enrico Rossi.
Galdo e De Rita non sono Clouseau o Maigret, ma questa sera un po’ ci assomigliano. Parlano da investigatori. Che fine hanno fatto i borghesi? Quelli che si vergognavano di sprecare mezza pera, quelli con i cappotti grigi e il cappello per riparare le calvizie dalla nebbia, quelli che non gridavano mai e se ridevano lo facevano di nascosto, austeri, probi e con l’etica all’occhiello. La loro vecchia tesi è che non ci sono più. La nuova versione è che in realtà sono tornati e indossano un loden. Ma bisogna ancora capire se sono un miraggio, un’apparizione o dopo 50 anni sono di nuovo vivi. Nel dubbio continuano a sostenere che i borghesi sono morti e se ne sente tanto la mancanza.
Ma chi erano questi borghesi? Era quella classe dirigente che fino ai primi anni ’60 sapeva ancora farsi carico della res publica. Chi li ha uccisi? Il ceto medio. L’italiano che esce fuori dalla povertà partecipa agli stessi banchetti della grande borghesia e dei grand commis di Stato. È la massa che entra nella storia e deturpa e rovescia i valori. Racconta De Rita: «La corsa al benessere accentua le nostre caratteristiche di popolo individualista. Proliferano comunità di piccoli imprenditori, piccoli commercianti, piccoli professionisti. In un solo decennio, tra la fine degli anni Sessanta e i Settanta, lo stock delle aziende è raddoppiato, passando da 490mila a un milione. Diventiamo un Paese di ex poveri, con l’illusione di essere tutti borghesi». È questo il delitto. Questa massa di commercianti e piccoli imprenditori non riesce a esprimere una classe dirigente dallo sguardo lungo. Pensa al particolare e trascura il bene comune.
Questa è più o meno la stessa versione che racconta la sinistra neo aristocratica. La colpa è delle masse. Attenzione. Non delle masse operaie, che sono scivolate vie dalla storia. Neppure delle masse sottoproletarie di Pasolini. Qui la massa rampante e avvelenata è quella degli imprenditori. Anzi, dei bottegai. Eppure De Rita si definisce figlio legittimo di quel ceto medio. «Una madre maestra elementare e un padre direttore di banca». Solo che il suo è un altro ceto medio. È quello del posto fisso e degli statali. È quello che ha preferito la sicurezza al rischio. È quello che ha votato più An che Berlusconi.
Ma se invece la soluzione del giallo fosse un’altra? Se non fosse omicidio ma suicidio. Se l’imprenditore di massa ha provato a salvarla ma è stato trattato come un parvenu e la risposta al suo sogno sombartiano sia stata chiudere le porte dei castelli e bloccare la mobilità sociale con arrocchi aristocratici e un sistema sociale sempre più burocratico? È la borghesia che ha fallito. Ha svenduto idee, tradizioni, vocazioni all’ideologia forte del momento. Ha educato, o lasciato educare, i suoi figli prima a un marxismo immaginario, fatto di libretti rossi e di yoga, di viaggi in Oriente, di rivoluzioni ludiche, di salari garantiti, di «manifesta pure, sfogati, tanto poi ci pensa l’amico di papà» e poi al Grande Fratello, al quarto d’ora di celebrità, a Miss Muretto, alla famiglia come unica forma di welfare state. Prima Che Guevara, poi le Veline.

Questa borghesia malata di aristocrazia fa rabbia e per motivi diversi rispetto al passato: non perché provinciale, non perché conformista o bacchettona, classista, perbenista, o grigia. Questa è una borghesia ignorante e reazionaria, in un’epoca in cui non può permetterselo. È una borghesia che non ha pensato ai suoi figli.

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