Al summit di Londra, il G20 ha deciso di moltiplicare per tre le risorse a disposizione del Fondo monetario internazionale - da 250 a 750 miliardi di dollari - per il rilancio dell'economia globale. Altri 250 miliardi di dollari saranno «creati» attraverso l'emissione di Diritti speciali di prelievo (la «moneta» del Fmi). Dunque, sarà proprio il Fondo a veicolare la maggior parte dei 1.100 miliardi di dollari che il G20 ha messo sul piatto della crisi. Il Fmi torna dunque alla ribalta. Ma quando queste risorse saranno effettivamente disponibili?
La domanda è tutt'altro che retorica. Il documento finale del summit londinese non indica infatti quali Paesi contribuiranno, e con quali risorse. Ben prima della riunione di giovedì scorso, il Giappone aveva annunciato la disponibilità di immettere 100 miliardi di dollari nelle casse del Fmi, e così aveva fatto anche l'Unione europea (altri 100 miliardi). Norvegia e Canada avevano promesso cifre minori (5 miliardi di dollari ciascuno). Ieri la Svizzera ha annunciato un contributo da 10 miliardi di dollari. Nessuna notizia, per il momento, ariva invece da altri paesi come Usa e Cina. Si sa che le autorità di pechino preferirebbero un'emissione obbligazionaria da parte del Fmi, operazione che non ha precedenti nella storia dell'istituzione economica internazionale, pur permessa dallo statuto. La Casa Bianca deve invece superare la storica ostilità del Congresso a finanziare pro-quota l'emissione di nuovi «diritti speciali di prelievo».
Il risultato è che potrebbe passare molto tempo prima che le risorse aggiuntive decise nel vertice del G20 diventino effettivamente operative.
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