"Datemi retta, nello sport non c’è nulla di scontato". Vincenzo Nibali ne è convinto e lo dice dall’alto della sua storia, del proprio palmares, fatto di due Giri, un Tour e una Vuelta, più altri sette podi e due quarti posti. In materia è un luminare, un professore di chiara fama, uno dei più accreditati e riconosciuti, non a caso è «Ambassador» della «corsa rosa» per meriti sportivi. Con il 39enne siciliano parliamo del Giro numero 107, che scatterà domani da Venaria Reale, alle porte di Torino. Dopo 3.401 km con 44.650 metri di dislivello si arriverà a Roma il prossimo 26 maggio. Ci saranno due cronometro, per un totale di 71,8 chilometri. Le tappe dedicate ai velocisti saranno 6, così come 6 saranno gli arrivi in salita. La vetta più alta, ovvero la Cima Coppi, sarà il Passo dello Stelvio con i suoi 2758 metri di altitudine. Questo in sintesi il Giro numero 107, questo il pensiero dell’ultimo grande del ciclismo italiano.
Se diamo una scorsa alla cartina, è chiaramente un Giro per Pogacar.
«Diciamo che Tadej è portato per qualsiasi tipo di percorso, con lui si va sul sicuro: basta metterlo in sella ad una bicicletta e lui va».
Finale già scritto?
«Parte giustamente con il numero 1 sulla schiena perché non c’è Roglic, l’ultimo vincitore, che ha deciso di puntare forte sul Tour, ma anche perché Tadej è da quattro anni il numero uno del ciclismo mondiale. Avete visto cosa ha fatto in questo inizio di stagione? Ha corso pochissimo, solo dieci gare e ne ha vinte 7. In ogni caso io lo dico senza alcuna esitazione: anche uno come lui, un fuoriclasse assoluto della sua portata, dovrà sudarsi la vittoria finale del Giro d’Italia. In un Grande Giro non c’è mai niente di veramente facile...».
Ne è convinto?
«Assolutamente».
Ma sarà davvero un uno contro tutti?
«Questo è poco ma sicuro: Tadej è un fuoriclasse e come tale sarà l’osservato speciale, punto di riferimento da parte di tutti. Ognuno farà il proprio gioco ed è più facile che gli interessi degli altri non coincidano con i suoi».
Era da tempo che non si aveva un favorito così chiaro e assoluto.
«È vero, penso che si debba tornare ai tempi di Alberto Contador al Giro 2011 (lo spagnolo in effetti dominò, poi fu detronizzato per un controverso caso clenbuterolo e la corsa andò al compianto Michele Scarponi, ndr), o ai miei quando al Giro del 2013 ci arrivai forte di Tirreno e Giro del Trentino. Contro di me avevo niente di meno che Bradley Wiggins che l’anno prima aveva conquistato il Tour de France, ma stavo bene e i favori del pronostico non mi fecero tremare le gambe».
Ma come si fa a considerare Pogacar vulnerabile?
«Perché ha due gambe, una testa e un cuore come gli altri. Perché anche Tadej ha patito giornate storte».
Sì, vero, ma quando aveva tra i pedali Jonas Vingegaard, che qui al Giro non c’è.
«Ripeto, guai darsi per vinti in partenza. Anche Merckx è stato battuto da Felice Gimondi. Sapete una cosa?...».
Dica.
«Le altre squadre sono in una posizione di vantaggio: se fanno saltare il banco sono bravi, se non ci riescono nessuno li processerà. Ben diversa è la posizione di Pogacar: lui ha molto da perdere».
Ma chi può secondo lei metterlo in difficoltà?
«Geraint Thomas è un corridore d’esperienza che corre per un team di assoluto livello (Ineos, ndr). Romain Bardet è un combattente che non ha paura di attaccare ed esporsi. Kamna e Martinez della Bora sono due mine vaganti. Ben O’Connor, così come l’olandese Arensman e il giovanissimo Cian Uijtdebroeks (ha soli 20 anni, ndr), sono pedine che possono scompaginare i giochi. E poi possiamo dire i nostri Antonio Tiberi e Damiano Caruso? Non hanno nulla da perdere».
Che corsa si immagina?
«Penso che Tadej fin da subito possa vincere qualche tappa, ma i suoi avversari non si devono demoralizzare. Bisogna avere pazienza».
Anche fortuna, se è per questo.
«Esattamente. Se non hai la buona sorte dalla tua parte non arrivi da nessuna parte, men che meno a Roma.
Domanda delle cento pistole: come si ferma Pogacar?
«Sparandogli alla schiena?...» (ride).
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