La Cina prepara grandi riforme ma accelera la corsa al riarmo

Mentre è imminente il varo della legge sulla tutela della proprietà privata, Pechino aumenta del 17,8 per cento le spese militari

Dopo aver proclamato in Costituzione che la proprietà privata non è più un furto, la Cina sta per varare una legge per definire e tutelare i diritti di proprietà. Si stabilisce un quadro giuridico per una materia finora lasciata nel vago, mentre in anni di sviluppo decine di milioni di persone si sono arricchite, centinaia di milioni sono divenuti benestanti e ben maggiori moltitudini, specie nelle campagne, pur nel miglioramento generale, sono rimaste indietro in forte distacco sociale. Una legge di regolamentazione sarà approvata nei prossimi giorni dall’Assemblea del popolo, formalmente organo legislativo con tremila deputati, la cui annuale sessione di circa due settimane si apre oggi a Pechino. Essa approverà inoltre il bilancio statale, che tra l’altro aumenta del 17,8% le spese per la difesa, elevate a 45 miliardi di dollari, senza includere gli acquisti di armamenti all’estero, soprattutto dalla Russia. Secondo molti centri-studio internazionali altre cifre sono in altre voci di bilancio, come ricerca scientifica e innovazione tecnologica, per cui i fondi reali sarebbero almeno tre volte di più.
Da oltre 15 anni l'aumento ufficiale è a doppia cifra (nel 2006 del 14,7%), suscitando sospetti in Giappone e preoccupazioni a Washington, espresse anche dal vice presidente Dick Cheney il 23 febbraio. Gli Stati Uniti spendono oltre 500 miliardi di dollari e godono di vantaggi tecnologici, ma sono allarmati dalla crescita cinese anche in questo settore.
La legge sulla proprietà privata arriva dopo lunghi contrasti interni al partito, evidenti nel fatto che, frutto di sette bozze precedenti, giunge a tre anni dalla sua consacrazione in Costituzione. Il 14 marzo 2004, infatti, la Carta è stata modificata, proclamando con l’articolo 13: «La proprietà privata legalmente acquisita è sacra e inviolabile. Lo Stato protegge i diritti dei cittadini alla proprietà privata e alla sua ereditarietà. Esso può, nell’interesse pubblico, in conformità alla legge e con adeguati indennizzi, espropriare o requisire la proprietà privata». Era veramente la fine del maoismo.
L’assemblea approverà quindi una sorta di regolamento di attuazione di quanto stabilito in Costituzione nel 2004. È una cosa molto diversa da quanto annunciato sabato con toni da scoop su Repubblica dal suo corrispondente a Pechino: «La Cina sta per inserire la tutela della proprietà privata fra i principi fondamentali della Costituzione»: vive a Pechino e non sa che è già stato fatto.
Le nuove norme sono un altro colpo, in un sistema che resta autoritario, alla concezione socialista dell’economia. I contrasti sono venuti da neoconservatori di sinistra e da boss locali che nella vaghezza giuridica hanno fatto il bello e il cattivo tempo. Esse si articolano su proprietà statale, collettiva, cioè dei villaggi e delle contee, gestita dalle autorità locali, e privata. La questione principale è la proprietà terriera e immobiliare. La terra è tutta dello Stato: ai contadini, con una sorta di enfiteusi, è dato l’uso del terreno, vendibile ed ereditabile; per le costruzioni le aree sono cedute in leasing per 70 anni, rinnovabile.
Con lo sviluppo e il grande boom edilizio, i boss locali hanno espropriato terreni agricoli - solo nel 2006, circa 200mila ettari - per fabbriche o immobili per abitazioni e uffici, dando ai contadini indennizzi irrisori. È così cresciuta la corruzione, suscitando ribellioni locali di contadini: 87mila nel 2005, secondo dati ufficiali. Preoccupato per tensioni e disparità sociali (il 10% della popolazione possiede il 40% della ricchezza privata, il 10% dei più poveri il 2%), il governo centralizza ora il controllo dei terreni per stroncare corruzione e abusi, limitando l’urbanizzazione di quelli agricoli, stabilendo criteri per adeguati indennizzi.


L’assemblea approverà inoltre una imposta unica del 25% per imprese nazionali e straniere, abolendo il favorevole 15% di cui queste godevano rispetto al 33% delle prime. Ciò non scoraggerà, secondo gli esperti, il flusso di investimenti stranieri, 62 miliardi di dollari nel 2006, per un totale di oltre 700 miliardi nell’ultimo decennio.

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