"C'è ancora domani". Cortellesi omaggia le donne di ieri e di oggi

Un’opera prima riuscita e audace che ammicca al neorealismo, sposa il doppio registro di dramma e commedia, guarda a grandi classici ed esplora una questione femminile senza tempo

"C'è ancora domani". Cortellesi omaggia le donne di ieri e di oggi
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C’è ancora domani di Paola Cortellesi è un esordio alla regia che conquista. La nota interprete, una volta dietro la macchina da presa, dirige se stessa e un cast di attori in stato di grazia, e lo fa con piglio e sensibilità. Il film è un tributo alle donne di ieri e di oggi, soprattutto a quelle invisibili che però, loro malgrado, hanno fatto la Storia.

Girato in bianco e nero, C’è ancora domani è un affresco della condizione femminile della seconda metà degli anni Quaranta in Italia, subito prima della svolta storica del diritto di voto alle donne.

Siamo a Roma, in un quartiere popolare. Delia (Paola Cortellesi) vive in un seminterrato con la sua famiglia: il marito violento, Ivano (Valerio Mastandrea), i loro tre figli e il suocero invalido, Sor Ottorino (Giorgio Colangeli). Viene tiranneggiata, è quotidianamente vittima di violenza domestica, fisica e psicologica, così si rifugia nel sogno di un amore platonico e in quello di un domani migliore. Nel frattempo mette anche da parte alcuni soldi guadagnati con lavoretti di cucito e simili, sottopagati: l’idea è di comprare alla primogenita, Marcella (Romana Maggiora Vergano), un abito da sposa, visto che è imminente il suo fidanzamento con un ragazzo di una famiglia economicamente abbiente.

Gli unici momenti di leggerezza per Delia sono quelli con un vecchio amore mai vissuto (Vinicio Marchioni) e con l'amica Marisa (Emanuela Fanelli), vera e propria confidente.

Paola Cortellesi è stata bravissima nel mettere in scena con grazia, leggerezza e intelligenza temi importanti come la componente patriarcale tossica della società, qualcosa di ancora presente ai nostri giorni. Tornare indietro, alle origini, a quando le donne erano culturalmente accondiscendenti ad essere vessate, è un’operazione coraggiosa, ma ancora di più lo è sottolineare la continuità fra passato e attualità grazie alla presenza di brani musicali moderni.

Mastandrea è una sorpresa, perché assolutamente credibile nei panni del prevaricatore che giustifica i propri maneschi scatti d’ira con l’aver fatto due guerre; è un padre-padrone burbero e tirannico proprio come il chiassoso genitore che ha in casa.

Le scene in cui alza le mani nei confronti della moglie, vengono coreografate come se le botte fossero una danza a due, in cui ognuno si attiene al proprio ruolo. Per l’epoca scardinare lo status quo pareva impensabile, anche perché alle donne venivano impartiti insegnamenti a fin di bene che ancora oggi non hanno smesso di condannarci. Le nostre nonne e le nostre madri erano indotte a credere che il lieto fine fosse nello sposarsi bene, ma oggi sappiamo in tante, anche loro, che non è l’amore a salvare le donne: ci si deve fare carico della propria ricerca di una felicità autentica e non disegnata come società comanda.

Se oltreoceano la causa è stata portata avanti da Barbie di Greta Gerwig, Cortellesi ci regala un film che sa farlo secondo la nostra tradizione cinematografica.

La neo regista racconta di come il supporto vicendevole tra donne che tentano di rivendicare il proprio posto nel mondo sia fondamentale. Affida al titolo, “C’è ancora domani”, l’idea di un futuro che è una promessa. Sembra una variazione del “Domani è un altro giorno” di Rossella O’Hara in “Via col Vento”, ma stavolta il proposito non è la riconquista di un amore bensì della propria capacità di autoaffermazione identitaria.

“C’è ancora domani” è un’espressione che è una chiamata alle armi, vale a dire all’impegno,

per le generazioni avvenire, (il film non a caso è dedicato da Cortellesi a Lauretta, la sua bambina), affinché mai si arrendano alla cultura del sopruso e tengano accesa la speranza in un futuro migliore.

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