Disney, non solo la Sirenetta: così ha sposato l'ideologia woke

Dalle polemiche sul remake su La Sirenetta al flop di Strange World: negli ultimi anni Disney ha sposato l'ideologia woke. Con risultati pessimi

Disney, non solo la Sirenetta: così ha sposato l'ideologia woke

Hanno fatto il giro del mondo le dichiarazioni del celebre compositore Alan Menken che, parlando con Vanity Fair Usa, ha rivelato come alcuni testi dei brani più significativi de La Sirenetta fossero stati "rivisti" durante la realizzazione del remake in uscita al fine di adattarsi alla sensibilità contemporanea. “Ci sono stati alcuni cambi di parole in Kiss the Girl perché le persone sono diventate molto suscettibili sull'idea che il principe Eric in qualche modo forzasse Ariel”, ha dichiarato. Nulla di cui stupirsi, in realtà, perché è la piega "woke" e politicamente correttissima che la multinazionale dell'intrattenimento ha sposato negli ultimi anni. L'azienda festeggerà il prossimo 16 ottobre i cento anni di storia ma vive una crisi d'identità da cui sembra far fatica uscire. Basti pensare che nell'ultimo anno e mezzo le azioni Disney sono scese di oltre il 40%, registrando una perdita operativa netta di 1,47 miliardi di dollari. Lo scorso gennaio, infatti, il Ceo Robert A. Iger, subentrato novembre a Bob Chapek, ha annunciato il taglio di 5,5 miliardi di dollari e il licenziamento di 7.000 persone.

La Disney e la deriva woke

Sarà mica che la deriva "woke" ha allontanato sempre di più le famiglie, stufe della continua politicizzazione dei prodotti marchiati Walt Disney e da un'ossessione a tratti grottesca dei temi legati all'inclusività e alla tutela delle minoranze? Gli esempi non mancano. Basti pensare a Lightyear - La vera storia di Buzz, bocciato dalla critica e dal pubblico poiché accusato di essere troppo "woke" e di contenere dei passaggi forzati - come un bacio gay - solo al fine di strizzare l'occhio alla moda del politically correct. O Strange World, film che rappresenta anche il primo personaggio Disney adolescente apertamente Lgbtq, rivelatosi un fragoroso flop al botteghino. D'altro canto, nell'aprile 2022 una nota dirigente dell'azienda - Karen Bruke - prometteva "più inclusività" nelle produzioni del colosso e che il gigante dell'intrattenimento stava lavorando per far sì che i gruppi "sottorappresentati", come le minoranze razziali e la comunità Lgbtq, rappresentassero "almeno il 50% dei suoi personaggi entro la fine dell'anno". Obiettivo che, tuttavia, sembra non entusiasmare né interessare più di tanto il pubblico.

Tutto è iniziato con il bollino antirazzista

Nel 2019, la multinazionale aveva messo in guardia gli spettatori da alcuni suoi film d'animazione presenti su Disney +, contenenti, a suo dire, "rappresentazioni culturali obsolete". Parliamo di classici immortali come Dumbo, Peter Pan, Lilli e il vagabondo, Il libro della Giungla e Gli Aristogatti. Di cosa furono accusati i film Disney? In Lilli e il Vagabondo (1955), per esempio, i due gatti siamesi, Si e Am, sono raffigurati con stereotipi sui latini e sugli asiatici, mentre negli Aristogatti (1970), un gatto siamese chiamato Shun Gon, doppiato da un attore bianco, è disegnato come una caricatura "razzista" di una persona asiatica. Accuse di razzismo sono piovute anche sul povero Dumbo (1941), pellicola nella quale il gruppo di corvi che aiuta l'elefantino ad imparare a volare avrebbe delle voci nere troppo "stereotipate".

E via dicendo, tra una follia e un'altra. La deriva "woke" di Disney è dunque iniziata così: mettendo prima in discussione i propri capolavori, e poi realizzando prodotti appiattiti sulle ossessioni dei liberal.

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