Il diciannovesimo lungometraggio di Luc Besson, Dogman, è al cinema dopo essere stato tra i protagonisti dello scorso Festival di Venezia. Girato in lingua inglese tra la Francia e gli Stati Uniti, il film racconta le origini di un outsider e lo fa con sensibilità e intelligenza rare. Siamo in una storia di redenzione ispirata a un articolo su un bambino maltrattato. Besson, attraverso la storia del protagonista, celebra l’amore incondizionato di cui sono capaci alcuni animali domestici, la cui natura è a modo loro divina nel senso che sembrano essere emanazioni dell’Alto volte a guarire l’animo umano da tante sofferenze terrene.
Non stupisca che il film sia pieno di riferimenti cristologici (Dog che è scritto come God al contrario ecc), del resto racconta di una via crucis.
“Dogman” si apre con lo stato di fermo, da parte della polizia, di un uomo, Douglas (Caleb Landry Jones), ritenuto sospetto: è stato trovato di notte, col volto tumefatto di percosse, travestito da Marilyn e alla guida di un camion colmo di cani. Si decide di affidarlo a una psichiatra che ricostruisca da dove arrivi quel puzzle di stranezze. L’uomo inizia dunque a raccontare da molto lontano, da un passato profondamente abusante in cui si è potuto affidare solo a Dio; un’infanzia atroce, in cui veniva rinchiuso nella gabbia dei cani che il genitore usava per combattimenti illegali.
Da quegli anni uscirà con una disabilità fisica e con ferite mentali ma anche con l’amore di una famiglia d’elezione, quella canina. Una volta adulto, i quattrozampe restano il baricentro attorno al quale ritagliarsi anche altri tipi di sollievo, ravvisabili nella lettura, nel teatro e nel travestimento. Con calma e lucidità Douglas ricostruisce come abbia curato le proprie ferite attraverso i drag show, un'opportunità per essere qualcun altro e sfuggire ai problemi della vita reale.
La trama si presenta come l’enumerazione dei traumi di un antieroe, un individuo vissuto ai margini della società ma che ha trovato ugualmente soddisfazione del proprio bisogno di amore e protezione. Ci sono chiare somiglianze con il Joker di Joaquin Phoenix e anche qui siamo in odore di Oscar per l’attore protagonista. Certo, il film resta bizzarro e imperfetto, ma ha momenti di cupa lucentezza da incorniciare, uno su tutti la performance di "Non, je ne regrette rien" di Édith Piaf.
Quanto ai passi falsi, forse le troppe sottotrame e l’appeal decisamente disneyano delle scene d'azione canina, accuratamente coreografate.
Besson, veterano del Cinema mondiale, invita ancora una volta ad andare oltre le apparenze, costruendo “Dogman” su di un personaggio tragico e sublime, shakespeariano e al contempo fumettistico, al cui background fa appassionare passo dopo passo.
Mischiando heist movie, dramma, gag canine e un commento sociale sull'ipocrisia dell'umanità, Dogman è senz'altro
un’opera volutamente eccessiva ma anche dalla sottile e dolente meraviglia; un film in grado di intrigare, divertire e commuovere, che sarà amato da cinofili e cinefili.
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