La guerra dei nonni è una commedia, appena uscita al cinema, che vede per la prima volta insieme il napoletano Vincenzo Salemme e il romano Max Tortora, entrambi ottimi interpreti di due tipi di comicità diversa. Il primo pare intento a dare forma a una versione attualizzata di Peppino De Filippo, mentre l’altro incarna una certa romanità cialtrona dal sottofondo malinconico.
Nel film di Gianluca Ansanelli, già collaboratore di Alessandro Siani, i due attori interpretano rispettivamente Gerri e Tom (riferimento voluto, che sottolinea lo spirito cartoonesco della messa in scena), consuoceri agli antipodi.
Gerri, attento e premuroso, vive con la famiglia della figlia, aiuta in casa e accudisce con amore i tre nipoti, vale a dire un’adolescente fidanzata con un trapper di periferia, un bambino forse dislessico e una bambina con un’amica immaginaria. Quando i genitori dei ragazzi si vedono costretti a partire per lavoro, l’uomo è ben felice di occuparsi di tutto, ma quel che non ha previsto è l’arrivo dell’altro nonno, Tom, il padre del genero. I bambini non lo hanno mai conosciuto perché è sparito per anni, preso dal compiere esperienze in tutto il mondo (alcune millantate in stile Manuel Fantoni di “Borotalco”).
Badare ai nipoti che hanno in comune diventa presto una competizione: entrambi i nonni intendono conquistarne l’affetto a discapito dell’altro. L’accesa rivalità va in scena anche nel voler entrare nelle grazie dell’avvenente vicina di casa (Bianca Guaccero).
Diciamo subito che quella che la sinossi ufficiale lascia intendere sia una lotta senza esclusione di colpi, non diventa in realtà mai un conflitto esasperato: “La guerra dei nonni” si limita a qualche minimo litigio.
Il film si gioca interamente sulla dicotomia tra i personaggi principali. L’uno, col volto di Salemme, appare saggio e buffo, impacciato con le donne e vittima degli eventi; si pone come portatore di valori sani ma con un integralismo sorpassato e si rifiuta di abbracciare la modernità digitale. L’altro, affidato a Max Tortora, è uno scapestrato viveur, esuberante e chiassoso; prova gusto nell’infrangere con somma spensieratezza ogni regola stabilita e può vantare di essere al passo coi tempi.
Tra loro una sfida fatta di gag, equivoci e simpatici battibecchi, ma anche una progressiva presa di coscienza di limiti e bisogni, non ultimo quello di tornare un po’ bambini.
La complicità tra l’umorista partenopeo (imbarazzante solo quando si improvvisa trapper) e il suo collega romano dà luogo a un'alchimia comica che non è l'unica del film; infatti funziona anche quella tra Salemme ed Herbert Ballerina, qui nei panni di un corriere invadente e poco discreto.
Grazie alla presenza di tre nipoti ognuno con una diversa problematica, si ha modo di riflettere, sentire coinvolgimento emotivo e respirare il contesto giovanile attuale (divertente l’idea del “cantante” col nome Fatherkiller).
“La guerra dei nonni” ha il pregio di puntare su una figura spesso relegata ad essere semplicemente comprimaria al cinema, il nonno appunto, che ha invece enorme importanza nella vita reale di molti.
Ciò detto, siamo lontanissimi dal rinverdire il panorama della commedia nostrana sul grande schermo, dal momento si tratta solo di un film per famiglie dignitoso e garbato ma fin troppo edulcorato (privilegia un target a misura di bambino).
Il fatto che le interpretazioni attoriali siano valide e nascano risate senza ricorrere alla volgarità, è già molto; ma “La guerra dei nonni” avrà il giusto seguito sul piccolo schermo più che ora al cinema; non a caso Netflix figura tra i produttori.
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