"Ho sempre seguito il caso. La solitudine mi pesa"

L’infanzia "grigia", il debutto grazie ad Haber, la tv "che sembrava vecchia": l’attrice Giuliana De Sio si racconta

"Ho sempre seguito il caso. La solitudine mi pesa"

Giuliana De Sio oggi ha 67 anni. Ha lavorato con registi del calibro di Comencini, Monicelli, Lizzani, Strehler. Ha vinto due David di Donatello, un Nastro d'argento, un Globo d'oro e cinque volte il Telegatto come migliore attrice televisiva. Per il teatro ha ricevuto quest'anno il premio Eleonora Duse. Non ama le interviste. Mi dice subito: «Non sono una feticista della mia biografia, parlare di me mi annoia a morte. Anzi, vorrei prendermi una bella vacanza da me stessa». Poi però, siccome è anche molto gentile, accetta.

Mi dà una fotografia della sua infanzia?

«Grigia, umida, piovosa, noiosa. Nessun dramma, per carità. Però una coltre di tristezza sulla mia testa di bambina».

Da dove veniva la tristezza?

«Da mia madre».

Poi l'adolescenza

«Turbolenta come tutte le adolescenze sane. Ma è durata poco. Viaggi, fughe. Mia madre perdeva le tracce di me e si disperava».

Suo padre?

«Sportivo, gaudente, viaggiatore: se ne è andato subito da casa. Ogni tanto si sposava, rapporti zero».

I suoi rapporti complicati coi genitori hanno condizionato i suoi rapporti con gli uomini?

«Non saprei. Dicono così i manuali. Mah. Io ho avuto un rapporto importante con una figura che poteva essere paterna. Elio Petri. Aveva 30 anni più di me. Era tutto quello che una figlia poteva desiderare da un padre. Era un grande intellettuale, un artista straordinario, una persona meravigliosa. Spiritoso, coltissimo. Con lui potevi parlare di tutto».

A 18 anni lei se ne andò di casa e lasciò Cava dei Tirreni per Roma. Aveva già le idee chiare sulla sua vita?

«Ma per carità! Io ho seguito il caso. Non ho mai deciso niente nella mia vita. Quando hai vent'anni c'è la corrente che ti trascina. Tu puoi resistere o farti trascinare: io mi sono fatta trascinare. Era una corrente che mi spingeva verso il centro dell'attenzione. Suscitavo molta curiosità negli altri. Mai capito perché».

Forse lei era diversa?

«Sì, dicevano così. Chissà...».

Lei è un po' incosciente?

«Credo di sì. A un certo punto me ne sono accorta. Ma ormai avevo fatto tanti danni».

A Roma e ha conosciuto Alessandro Haber. È stato lui a spingerla al cinema?

«Sì, mi ha fatto una corte spietata. Sono andata a vederlo a teatro. Lui era un attore diverso dagli altri. Io li riconosco i diversi. Faceva uno spettacolo su Rosa Luxemburg. Mi piacque. Ci fidanzammo. Continuava a dirmi che sentiva che io ero un'artista, un'attrice. Mi fece fare dei provini, li vinsi tutti e iniziai a fare film senza nemmeno accorgermene».

Come iniziò?

«Una serie televisiva, Una donna, tratta da un romanzo di Sibilla Aleramo. Otto puntate. Ebbe un successo incredibile».

Sibilla Aleramo, una protofemminista, una donna speciale per quei tempi. Lei era affascinata da questa donna?

«Per niente, mi sembrava tutto molto vecchio. Anche la tv mi sembrava vecchia».

Il successo non l'ha travolta?

«No, mi ha spaventato. Ero una ragazzina sconosciuta. All'improvviso per strada mi fermavano tutti. Una cosa molto ansiogena».

Nei Cento giorni di Palermo lei interpreta la giovane moglie del generale Dalla Chiesa, Emanuela Setti Carraro. Si è fatta una idea della mafia?

«La mafia è una narrazione dell'orrore. È una controcultura spaventosa».

Che idea si è fatta del generale Dalla Chiesa?

«Un maschio Alfa».

Facciamo un salto di quasi quarant'anni: un giorno si sentì male in Calabria. Il ricovero, la diagnosi sbagliata, la morte a un passo. È così?

«Sì. Pensavo a un infarto. Ma era una trombosi che mi aveva colpito tutti e due i polmoni. Una cosa per la quale nove persone su dieci muoiono. Sono miracolata. Ho sentito il soffio della morte».

Cioè?

«Mi portarono a Roma in aereo. Mi mandarono a casa. La notte alle due stavo malissimo. Mi si era gonfiata una gamba. Chiamai mia sorella e le dissi: Teresa, sto morendo».

Ha avuto paura di morire?

«Sì. Il mio corpo mi aveva detto: ora muori. Uno shock. Entri in una dimensione diversa dalla realtà. È stato così anche quella volta che mi rapinarono in casa. Sono stata sequestrata per ore, ero calma perchè pensavo che non stesse succedendo a me».

Era sola a casa?

«Sì, alle nove del mattino. Hanno bussato con un mazzo di fiori. Ho aperto. Sono entrati, mi hanno legata e imbavagliata. Sono rimasta lì per diverse ore. Mi hanno messo una pistola in bocca».

Terrore?

«No, perché il corpo mette in circolazione qualcosa che ti protegge. Ti dice: Tranquilla, non succede niente. Vogliono solo rubare. Per me è stata così».

Lei è più in credito o in debito con la vita?

«In credito».

Cosa le è stato negato?

«Un complice. Un appoggio sentimentale».

Si sente sola?

«Sì, anche se vivo spesso in un bagno di folla».

Lei ha avuto una storia con un ragazzo di 25 anni più giovane. E la cosa ha fatto scandalo.

«Sì, ma non capisco lo scandalo. Mi sono sempre considerata molto avanti rispetto al senso comune. Il discorso sulla differenza di età mi annoia mortalmente».

La mancanza di figli l'ha vissuta con dolore?

«Ho tentato più volte di farne. Ho avuto tre aborti spontanei».

Come l'ha vissuto?

«Ho sempre cercato di sdrammatizzare le cose tragiche. Non so se sono riuscita a sopperire alla voglia di avere un figlio. Un figlio è una cosa enorme».

Lei, guardandosi, si piace?

«No, non mi piaccio. La testa soprattutto. Non tanto il mio corpo. Non amo la mia testa».

Qual è il suo difetto?

«Non sono stata mai e non sono furba. Nel senso di scegliere le cose giuste, gli uomini giusti, le amicizie giuste. Per giusto intendo quello che ti porta il bene».

Non è un'opportunista?

«No. Sono una deficiente. Un minimo di opportunismo nella vita ci vuole».

È religiosa?

«No, mi piacerebbe, ma non ci riesco».

Crede solo in quello che vede?

(ride) «Spesso neanche in quello che vedo».

Qualcosa la gratifica?

«La mia parte artistica. È l'unico pezzo della mia vita che non è stato mai rotto».

Col suo lavoro almeno ha un buon rapporto?

«Sì, soprattutto con il teatro. Anche se ancora ho paura del palcoscenico. Veri e propri attacchi di panico».

C'è un film che le è più caro degli altri?

«Speriamo che sia femmina. Uno degli ultimi capolavori della commedia italiana. Di Monicelli».

Dei grandi cineasti della generazione precedente alla sua che idea ha?

«Grandi artisti e grandi intellettuali. Non ce ne sono più così. Persone che ti arricchivano. Mi adoravano, però li ho conosciuti tardi. Avevo un rapporto straordinario con loro. Purtroppo se ne sono andati».

L'ultima domanda è solo un nome: Massimo Troisi.

«Nostalgia, poesia, tenerezza».

Ha cambiato il tono della voce. Se ne è accorta?

«Sì, perché era unico. L'aver scambiato delle cose con lui mi rende speciale. Ha lasciato un segno che non cancella nessuno».

Un ricordo?

«Un bacio. Sulla spiaggia di Napoli.

Erano passati pochi giorni dalla morte del mio compagno di allora, Elio Petri. Dovevamo girare questa scena. Io ero in grande sofferenza. Disperata per la perdita di Elio. Lui aveva persino pudore. Quasi non se la sentiva di baciarmi. Poi mi baciò. Fu un bacio bellissimo».

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