Io speriamo che me la cavo è il film diretto dalla regista Lina Wertmüller che va in onda questa sera alle 20.55 su Cine34, il canale dedicato esclusivamente alle pellicole del cinema italiano. Uscito nel 1992, Io speriamo che me la cavo rappresenta una libera trasposizione dell'omonimo romanzo firmato da Marcello D'Orta.
Io speriamo che me la cavo, la trama
Marco Tullio Sperelli (Paolo Villaggio) è un insegnante che, a causa di uno sbaglio perpretrato dal Provveditorato agli Studi, viene trasferito a Corzano, un paese in provincia di Napoli, dove il livello di istruzione non è tra i più alti. E il nuovo maestro di terza elementare di origine ligure si rende subito conto della situazione difficile in cui si trova a lavorare. La sua classe, infatti, è un classico esempio di assenteismo e abbandono degli studi: Sparelli, dunque, è costretto quasi ad andare a cercare i suoi allievi per strada, nelle case, recuperandoli da luoghi che non sono adatti a loro. Con fatica e perseverenza, però, l'uomo riesce a mettere insieme una classe mista piena di bambini che vengono da situazioni familiare difficili, da ristrettezze economiche, da legami violenti con la camorra, come nel caso del piccolo (Ciro Esposito). Dopo aver fatto richiesta di un nuovo trasferimento, però, il maestro si troverà ben presto ad affezionarsi a questi bambini che hanno avuto la sola colpa di essere nati in mezzo a situazioni di povertà e criminalità.
I ricatti della malavita
Corzano, il borgo in cui si trasferisce l'insegnante ligure dando inizio a un'esperienza di vita più che a una professionale, è in realtà un luogo fittizio, un luogo che è stato creato appositamente per il grande schermo. Come si legge suCinemaSerieTv, il nome immaginario è stato creato per assonanza con Arzano, vero comune in provincia di Napoli dove lo stesso Marcello D'Orta insegnò, collezionando storie di famiglie disagiate e piene di problemi. Dunque, pur essendo un borgo di fantasia, Corzano è un non-luogo che servì alla regista per mostrare la realtà della provincia napoletana e di coloro che si trovavano davvero a vivere in condizioni problematiche. È indubbio, inoltre, che proprio la "napoletanità" sia in qualche modo uno dei fulcri narrativi del film: non solo per l'ambientazione e per la classica contrapposizione tra nord e sud, ma anche per la riflessione sull'importanza del dialetto, della lingua locale come tesoro da non perdere, come forma di identità. E proprio per questa attenzione ai dettagli legati alla realtà campana sorprenderà sapere che Io speriamo che mela cavo è una pellicola che non è stata girata in provincia di Napoli o in Campania. A parte poche scene, infatti, Lina Wertmüller scelse di girare la gran parte del film in provincia di Taranto, in Puglia. Ma perché questa scelta?
Lina Wertmüller, in realtà, avrebbe voluto girare Io speriamo che me la cavo tra le strade affollate di Napoli, portando la sua macchina da presa proprio nel centro del capologuo partenopeo, per registrare con più precisione la fotografia di un popolo e di una città dalla forte identità, al punto da diventare quasi un'icona culturale. Tuttavia, stando a quanto si legge su Vesuvio Live, il desiderio della regista si dovette scontrare con la criminalità locale e, più in particolare, con la camorra, che rappresenta una realtà anche all'interno del film stesso.
Secondo la ricostruzione, infatti, pare che Lina Wertmüller sia stata avvicinata da alcuni rappresentati della malavita che le chiesero il 10% del budget di produzione: un vero e proprio pizzo che la regista avrebbe dovuto pagare per assicurarsi di poter andare avanti con la produzione del film e permettere alla troupe di girare, senza rischio di incorrere in qualche "incidente". La Wertmüller non si abbassò al ricatto né all'omertà e resasi conto della situazione decise immediatamente di lasciare Napoli e continuare le riprese fuori dalla Campania.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.