Pupi Avati confessa: "Sono povero. Se fossi rimasto a vendere surgelati sarei milionario"

Il regista de "Il testimone dello sposo" ha parlato della crisi del cinema italiano e lanciato un appello al Governo

Pupi Avati confessa: "Sono povero. Se fossi rimasto a vendere surgelati sarei milionario"
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"Il cinema italiano? Siamo davvero a un passo dal baratro. Anzi, ci siamo già dentro". E' un vero e proprio allarme quello che Pupi Avati, uno dei registi italiani più celebri e titolati, ha lanciato parlando della cinematografia italiana. Intervistato dal Corriere, Avati si è detto preoccupato per la crisi che il settore sta attraversando ma ha parlato anche della sua situazione personale tutt'altro che rosea.

L'appello al Governo

A proposito della crisi che sta coinvolgendo il cinema italiano, il regista ha fatto un appello diretto a governo e opposizione affinché "dedichino un momento del loro tempo prezioso immaginando una rinascita del nostro cinema che oggi è fermo, immobile: due anni fa, se cercavi un macchinista, non lo trovavi neanche pagandolo a peso d’oro; oggi di macchinisti ne trovi quanti ne vuoi, non sta lavorando nessuno". Secondo Pupi Avati il rilancio del settore dovrebbe passare dalle istituzioni per questo il regista auspica un "ministero ad hoc per il cinema, gli audiovisivi e la cultura digitale", che incoraggi i "finanziamenti pubblici e il tax credit a quelle produzioni a basso costo che possono dare grandi soddisfazioni, in sala e anche nel mercato internazionale".

"Ricco? Non ho soldi da parte"

A proposito della sua situazione personale, alla vigilia del ritorno sul grande schermo con il film "L'orto americano" in uscita il 6 marzo, Avanti ha confessato: "Io milionario grazie al cinema? Macché, sono povero. Se fossi rimasto a vendere surgelati sì, a quest’ora sarei milionario". Il regista ha rivelato di essere in affitto e di non poter acquistare la casa dove vive da cinquant’anni "perché non ho i soldi". Eppure, ci sono stati periodi in cui il cinema italiana ha dato grandi soddisfazioni anche in termini economici persino a lui: "Sì, ci sono stati anni in cui ne ho avuti, anni in cui le banche elargivano così tanto credito al cinema italiano che mio fratello Antonio girava con la carta in titanio dell’American Express. Con quella potevi alzare il telefono e prenotare un volo per l’Australia con la cena nel miglior ristorante di Sidney appena atterrato, senza neanche arrivare a domandarti quanto avessi sul conto. I soldi giravano, punto.

Ora a stento c’è il bancomat. Le cifre di cui si parla sottovoce fanno paura". Ma Avati non rinnega il passato: "Mi è andata benissimo così, ma ora voglio che il cinema italiano si salvi".

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