Oltre l’Oscar c’è di più. C’è la performance che Billie Eilish ha fatto l’altra sera al Dolby Theatre con il suo fratello maggiore Finneas O’Connell al piano. Intensa, come intensa è la sua canzone che ha vinto l’Oscar per il miglior brano originale, ossia What was I made for? dalla colonna sonora di Barbie. Ma Billie Eilish si è anche dimostrata clamorosamente fresca perché fuori tendenza, spontanea, naturale, senza trucchi. In una fase musicale dominata dalle 3B (beat, bpm e barre) e irretita dall’algoritmo urban, questa losangelina 22enne ha dimostrato che si può essere clamorosamente giovani e piacere ai giovani anche seguendo le vecchie regole della musica leggera, ossia una voce ispirata, un testo significativo, un’atmosfera irripetibile.
Non è un caso se Billie Eilish è la più premiata della sua generazione, con una lenzuolata di Golden Globes e Grammy Awards già messi in bacheca e adesso questo secondo Oscar, che le consente di battere un record vecchio addirittura di 86 anni. È la più giovane artista ad aver vinto due Oscar, battendo Luise Rainer che aveva vinto il suo secondo Oscar a 28 anni. Stiamo parlando del 1938, ossia di alcune ere geologiche fa nel
cinema e nella musica.
Ma non solo.
L’altra statuetta le era arrivata solo due anni fa grazie alla canzone No time to die dalla colonna sonora del film omonimo della saga di James Bond. Ma quel brano era davvero più estemporaneo, anche se forse più bello e convincente di questo. Invece What was I made for? è molto più focalizzato perché è quasi autobiografico nonostante vesta benissimo i passaggi del film nei quali viene trasmesso, specialmente quello conclusivo nel quale Barbie entra nel mondo reale e non ha la più pallida idea di che cosa deve fare. «Una volta galleggiavo, ora cado e basta. Una volta sapevo ma ora non sono sicura per che cosa sono stata creata».
Sono versi perfetti per una bambola che diventa umana ma anche per una ragazzina che diventa una star mondiale e non sa più trovare il proprio baricentro. «Sembravo così viva ma non sono reale, solo qualcosa per cui hai pagato». Se in sala al Dolby Theatre molti si sono commossi, e Ariana Grande addirittura piangeva, significa che questi versi hanno centrato l’obiettivo e fotografano uno stato d’animo sempre più diffuso tra persone sempre più giovani.
Questo è il pop che sa intercettare i cambiamenti e ha la forza di
renderli comprensibili a tutti, anche a chi li vive senza accorgersene. Perciò si chiama «musica popolare» ed è una trama culturale, a differenza di rap o trap che sono più che altro copioni di videogame ripetuti all’infinito.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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