"The Substance", perché l'horror con Demi Moore parla di molti di noi

Un horror specchio dei tempi e delle oscure fragilità del femminile, ma anche il racconto di una progressiva mostrificazione valoriale a cui quasi nessuno può dirsi interamente estraneo

"The Substance", perché l'horror con Demi Moore parla di molti di noi

The Substance, il secondo lungometraggio della regista francese Coralie Fargeat e con protagonista Demi Moore, è il film del momento. L’horror presentato al 77° Festival di Cannes, dove ha ricevuto il premio per la migliore sceneggiatura, ha infatti appena superato il milione di euro al box-office grazie al passaparola ed è il titolo più discusso sui social network. I motivi del suo successo globale sono molteplici. “The Substance” ha tutte le qualità per venir ricordato: è sfrontato, ispirato e maneggia in maniera magistrale citazioni di cult cinematografici. Sa inoltre coniugare estetica, tensione e profondità.

La trama vede un’ex attrice con all’attivo un Oscar e una stella sulla Hall of Fame, Elisabeth Sparkle (Demi Moore), condurre un programma mattutino di aerobica. Ha superato la cinquantina e proprio per questo motivo viene licenziata dal capo, Harvey (Dennis Quaid), desideroso di sostituirla con una nuova starlette dalla “carne fresca”. L’occasione di riscatto arriva alla donna aderendo ad un protocollo medico sperimentale che promette di restituirle una versione di sé "migliore, più bella e perfetta" e fisicamente partorita, già intera, dal proprio midollo spinale: Sue (Margaret Qualley). Sue diventa immediatamente la nuova star del programma tv da cui Elisabeth era stata cacciata. La dinamica da “patto col diavolo” prevede però che i due corpi, quello matrice e quello nuovo, si diano il cambio a settimane alterne e si ricordino di essere sempre e comunque un’unica persona.

Mescolando il dramma con una messa in scena grottesca e disturbante, nonché con tracce di comicità malinconicamente amara, “The Substance” si presenta come un’opera dalle molteplici chiavi di lettura e merita più una riflessione che la solita recensione.

Intanto la mancata accettazione della vecchiaia, essendo la protagonista una donna bellissima che non si vede più tale, non è il vero focus e si allarga subito a una più generica mancata accettazione di sé, il che permette al racconto non solo di intercettare spettatrici di tutte le età ma di farle sentire rappresentate e comprese.

Probabilmente per l’universo maschile “The Substance” sarà poco più che un body-horror di cui discettare su un piano strettamente cinematografico o, al massimo, sociologico. Di sicuro la presa emotiva ed empatica del film è sull’altra metà del cielo, perché è quella che conosce quanto possa essere spietata l’autoimmagine che una donna ha di sé. La dolorosa realtà, ben rappresentata nella narrazione, è che nessuno sguardo esterno potrà cambiare più di tanto la percezione che il femminile (non certo l’Eterno Femminino) ha del proprio riflesso; quello di un uomo, ad esempio, potrà dare conferme positive o negative ma non risolvere un conflitto che nasce altrove ed è sempre più endemico anche nella nuova generazione (quella promotrice di un nobile ma chimerico palliativo come il “bodypositive”).

Non sono tanto i canoni irrealistici di bellezza a nuocere oggi; l’impatto devastante sull’autostima delle più o meno giovani viene già dal confrontarsi con la propria versione autonomamente filtrata su un social network.

Per non parlare di come, nell’era di Ozempic in cui si è disposti a iniettarsi qualcosa di cui ignoriamo gli effetti a lungo termine, la protagonista di “The Substance” compia scelte scellerate ma familiari.

Siamo nella dittatura dell'immagine; il diktat sociale di rendere visibile sempre la versione migliore di sé acuisce la possibilità che uno specchio possa condizionare, e talvolta rovinare, la vita a persone insospettabili, molte delle quali di indubitabile avvenenza fisica. A tanti questo sembrerà mera materia da psicologi o psichiatri e sicuramente fino a poco tempo fa si sarebbe definito un “problema da primo mondo”. In verità purtroppo, con l’ampliarsi progressivo del tempo trascorso sulle piattaforme virtuali, la faccenda si fa più complessa perché la superficialità viene "mediatizzata", così come la coazione a mostrarsi prediligendo la facciata alla sostanza.

Che il film abbia avuto il miglior incasso all’esordio proprio in Italia rispetto al resto del mondo non stupisce. Siamo un popolo impregnato di bellezza per storia e dna come nessun altro. Siamo benedetti per nascita dal poterci nutrire, attraverso i sensi, di spettacoli naturali e artistici ineguagliabili. Questo ci rende forse più critici, più consapevoli di cosa sia eccellenza (ne possediamo tante) e cosa no; ma ci fa anche percepire come mediocre quello che altrove verrebbe interiorizzato come comune e dignitoso nella sua normalità, il che può essere alla lunga malsano proprio come tematizzato nel film.

“The Substance” non parla solo di una donna che si addolora pensando agli antichi fasti, a chi è stata e rischia di non essere più.

Parla anche di come tutto sia collegato (siamo Uno) e tutto abbia un prezzo esistenziale, lanciando un monito semplice e potente: attenzione alle priorità in base alle quali spendiamo, in termini di premura e di tempo, la nostra energia vitale; perché, senza equilibrio e consapevolezza a guardie del Sé, la vita (ma per osmosi anche il mondo) diventa un’instabile e putrescente mancanza di significato.

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