Diretto da Renzo Martinelli e uscito nell'ottobre del 2001, Vajont è il lungometraggio che va in onda questa sera alle 21.30 su La7. Come si intuisce facilmente dal titolo, il film ripercorre la terribile tragedia che ha avuto luogo il 9 ottobre 1963, quando una frana del Monte Toc si riversò nel bacino artificiale dalla diga, creando tre onde anomale che si riversarono sui comuni e i paesi limitrofi, portando alla morte di circa duemila persone.
Vajont, la trama
Il film di Renzo Martinelli ha l'ambizione di portare su schermo tutti i passaggi e le scelte ambigue o apertamente errate che portarono a una delle più grandi tragedie della storia italiana. La pellicola si apre nel 1959, nella valle del Vajont, dove l'omonima diga è a un passo dal completamento. Carlo Semenza (Michel Serrault), Alberico Biadene (Daniel Auteuil) e Mario Mancini (Leo Gullotta) sono i responsabili del progetto, con l'ambizione a rendere il bacino del Vajont la punta di diamante della SADE, la Società Adriatica di Elettricità e fiore all'occhiello di tutto il paese. Tina Merlin (Laura Morante) è una giornalista dell'Unità che già da tempo denuncia il lavoro della SADE, che reputa un covo di corruzione ed egoismo. Ben presto i timori di coloro che si erano detti contrari alla costruzione della diga si materializzano: nella vicina diga di Pontesei crolla un pezzo di montagna, creando un'onda che miete una vittima. Mentre alla SADE affidano una nuova perizia a Edoardo Semenza (Jean-Christophe Brétigniere), erede di Carlo e allievo del massimo esperto delle Dolomiti Giorgio Dal Piaz (Philippe Leroy), sul monte Toc cominciano ad apparire i primi segnali di allarme: il monte su cui poggia la diga non sembra abbastanza robusto da sorreggere il peso e la forza dell'energia elettrica. Sarà proprio Giorgio Dal Piaz a minimizzare i problemi che Edoardo Semenza cerca di portare all'attenzione di tutti. Quei problemi che, sempre inascoltati, porteranno al disastro del 1963, quando quasi duemila persone persero la vita.
La vera, tragica storia dietro al film
Era il 1957 quando venne aperto ufficialmente il cantiere per quella che doveva essere la diga più grande d'Europa, capace di creare non solo energia elettrica per tutta l'Italia, ma anche di dare lavoro, futuro e sostentamento economico tanto a chi era interno al progetto, quanto alle persone che avrebbero vissuto lungo il perimetro del bacino artificiale che si sarebbe creato. La società che si occupa del progetto - che verrà poi inaugurato nel 1959 - è la SADE, un'azienda privata che sembra interessata solo al profitto e alla "popolarità" e che sembra prendere sottogamba le numerose problematiche legate alla natura del luogo. Il monte su cui viene costruito un versante della diga è il Monte Toc, un nome che non è dato a caso.
Nel dialetto friulano, infatti, "Toc" è un epiteto che serve a indicare qualcosa di marcio, di guasto. E sarà proprio dal Monte Toc, situato tra i comuni di Erto e Casso che, come scrive Rai Cultura, si stacca una frana di alcuni milioni di metri cubi che, precipitando nel bacino artificiale sottostante, portò alla formazione di tre onde anomale, dove acqua, sassi, fango e terra si mescolarono, diventando pressoché letali. Infatti, secondo i dati riportati dal Messaggero Veneto, quando la frana cadde nel bacino sollevò in ottanta secondi un'onda che si sollevò dall'invaso e si abbatté sui comuni limitrofi con una potenza che è stata equiparata a quella delle esplosioni atomiche avvenute su Hiroshima e Nagasaki. Questo fece sì che di alcune vittime non rimasero altro che abiti: chi si trovava all'esterno nel momento dell'impatto venne letteralmente polverizzato. Ed è anche per questo motivo che il numero ufficiale delle vittime, che conta 1910 morti, non è considerato del tutto affidabile. La tragedia del Vajont è una pagina nerissima della storia d'Italia, resa ancora più tragica dalla consapevolezza che si sarebbe potuta evitare. Lo ha sottolineato anche Guglielmo Cornaviera, presidente del comitato dei superstiti che disse: "Il Vajont non può essere definito uno scandalo perché tecnicamente si trattò di una serie di scandali, piccoli e grandi, protrattisi anche dopo il disastro."
La storia della diga del Vajont, infatti, è costellata da incidenti e allarmi che vennero sempre sottovalutati e spesso ignorati per paura di perdere credito e denaro. Sul sito di Erto e Casso, ad esempio, si legge che già nel 1960 ci fu una frana che portò settecentomila metri cubi di terra e detriti nel bacino sottostante che causarono un'onda molto alta che, per fortuna, non costò la vita a nessun abitante del luogo. Ma la frana e l'onda che ne seguì fu l'ennesima conferma al terrore dei cittadini, che ormai convivevano tra boati e sismi e sentivano che il luogo non era più sicuro. Sempre nel 1960 e, più in particolare, nel mese di novembre, sul Monte Toc si aprì una frattura, che sarebbe poi stata quella che avrebbe portato alla terribile frana di tre anni più tardi. I responsabili della SADE continuarono a sottostimare i pericoli derivanti da questi incidenti e cercarono di nascondere a chi di dovere la situazione davvero pericolosa in cui imperversava la valle del Vajont. Nonostante si fosse cercato di "gestire" l'instabilità del luogo, anche con l'ideazione di un tunnel by-pass che avrebbe dovuto frenare qualsiasi caduta, la situazione era così disperata che solo due giorni prima del disastro venne diramata un'ordinanza da parte di Enel, in cui si chiedeva alla popolazione di evacuare le zone e i centri abitati che sorgevano in prossimità della diga e, più nello specifico, di coloro che si trovavano ai piedi del Monte Toc. Alle 22.39 del 9 ottobre 1963, infine, una frana di circa due chilometri cadde nel lago, sollevando una massa di 48 milioni di metri cubi. Nel 2013, in occasione del cinquantesimo anniversario della tragedia, l'allora presidente del Senato, Pietro Grasso, offrì le scuse del governo e dello Stato per una strage di innocenti che si sarebbe potuta evitare.
In un servizio riportato da Rai News, Grasso dice:"Sono venuto fin qui per inchinarmi davanti alle vittime, ai superstiti e chiedere scusa da parte dello Stato con umiltà e commozione. Ma anche per cercare, ove possibile, di riparare."
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