Cinica, ignorante, noiosa Da Orazio a Musil i prof bocciano la scuola

In bilico tra le figure del travet e dell'intellettuale gli insegnanti si sentono dei falliti. O degli incompresi

«Dato che si chiamava Raat, in tutta la scuola lo chiamavano Unrat , ovvero Spazzatura . Niente di più spontaneo e di più naturale. Gli altri professori, di tanto in tanto, vedevano mutare il proprio nomignolo: arrivava nella classe un nuovo scaglione di allievi, si accaniva sadicamente a scoprire in questo o quel docente qualche lato comico non ancora sufficientemente messo in risalto dallo scaglione precedente, e gli affibbiava senza pietà un inedito nomignolo. Il suo, invece, Unrat ce l'aveva da parecchie generazioni; era ormai famigliare all'intera città; i suoi colleghi lo usavano non solo fuori del Liceo, ma anche dentro, non appena lui voltava le spalle».

Quante gliene abbiamo combinate, al nostro professor Unrat! Puntine sotto le chiappe, lanci di cancellino, gavettoni, lettere minatorie, scherzi telefonici (è stato facile avere il suo numero - quello fisso, è ovvio, si parla dell'era pre-cellulare - corrompendo il bidello con un paio di birre). Qualcuno esagerò fino al punto di rigargli la macchina (era una Panda rossa, non poteva permettersi di più, il povero Unrat, e l'aveva scelta rossa perché, in fondo, quel prof era anche un po' comunista), o addirittura di... Come? Di trombargli la moglie dite? No, eravamo stronzi, sì, ma piuttosto timidi con le femmine, e soprattutto non cattivi come gli studenti di Professor Unrat , il romanzo di Heinrich Mann più noto con il titolo del film che Josef von Sternberg ne trasse nel 1930, un quarto di secolo dopo l'uscita del libro: L'angelo azzurro . E poi, detto fra noi, sua moglie non era mica carina come Marlene Dietrich, alias Lola Lola, alias Rosa Frohlich...

Il professor Unrat rappresentava (e rappresenta ancora), parafrasando i Pink Floyd di pochi anni prima, cioè prima del nostro liceo da scriversi rigorosamente con la minuscola, «The Dark Side of the School», il lato brutto, triste, meschino della scuola. Quindi il suo lato più vero, ché invece John Keating, vale a dire il Robin Williams di L'attimo fuggente , l'amico degli studenti, il poeta, il compagnone, il piacione, il buono e bravo e giusto e, alla fine, la vittima vincente del film di Peter Weir del 1989, l'anno della Pantera, per intenderci, quella sorta di pifferaio di Hamelin in versione politicamente corretta, della lunatica scuola-luna rappresenta il volto minoritario, banalmente eccezionale, eccentrico, vacanziero. Quindi falso.

Non li cita, il prof Alessandro Banda, quei suoi due colleghi agli antipodi, in Il lamento dell'insegnante (Guanda, pagg. 171, euro 15), ma non saremo così ottusi come certi insegnanti da mettergli per questo un segno «meno» sul registro. Tutt'altro, perché un altro registro, quello che lui usa nel suo excursus fra i mali della scuola visti dalla cattedra ci sembra quasi, e giustamente, una difesa dei 10, 100, 1000 e centomila, in omaggio a Pirandello, professori e professoresse Unrat della storia. «E siccome la scuola, sempre di più, cerca di respingere la letteratura, noi ci rivolgiamo a essa proprio per capire la scuola », scrive il prof Banda, fortunato due volte poiché: 1) lavora in un istituto femminile; 2) lavora a Merano, e quando, putacaso, esce da una riunione d'istituto, rintronato dalle chiacchiere dei colleghi, alza lo sguardo verso i monti circostanti e subito si rasserena. Beato lui.

Molto meno sereno era il prof di Orazio, quello delle Satire e delle Odi . Si chiamava Orbilio e doveva fare i conti, intorno al 50 prima di Cristo, con le offese e i mancati pagamenti dei genitori degli allievi. Perché la scuola, già allora, era come un campetto di periferia oggi, dove, a detta di mamma e papà, il loro figlioletto è meglio di Messi e Cristiano Ronaldo, e se sta in panchina la colpa è di quel deficiente del professore, pardon , dell'allenatore. Un passo in avanti, nella storia e nella messa a fuoco degli atavici problemi scolastici, lo fa Agamennone. No, non il capo degli Achei, bensì l'omonimo prof di Encolpio nel Satyricon di Petronio. È vero, ammette quell'Unrat del primo secolo dopo Cristo, io insegno materie stantie e lontane dalla vita reale, ma i miei clienti (di nuovo, i genitori) vogliono questo, per loro la scuola è una seccatura che precede l'entrata delle loro creature nel mondo del lavoro. Del resto il saggio Seneca l'aveva detto chiaramente: « Non vitae, sed scholae discimus », non impariamo per la vita, ma per la scuola. Salvo poi vedersi capovolto il pensiero in nome del buonismo pro-scolastico: impariamo per la vita, non per la scuola.

Balle. E bene ha fatto Giovenale a prendere le parti dei prof di allora e di sempre « occidit miseros crambe repetita magistros », «poveri maestri uccisi da questa minestra riscaldata» traduce Banda. Basta sostituire «minestra riscaldata» con «programmi ministeriali» e tutto risulta chiarissimo. Agostino, il quale non a caso sarebbe stato poi riconosciuto santo, quando insegnava a Cartagine fu vittima del bullismo di quelli che chiama « eversores », altra piaga senza tempo, e per questo se ne andò a Milano da Ambrogio, mandando a quel paese gli studenti. Al suo prof Brunetto Latini, Dante dedica un endecasillabo di adamantina purezza: «m'insegnavate come l'uom s'etterna». Però lo sbatte all'Inferno, fra i sodomiti. Soltanto perché gli piaceva giacere in compagnia di baldi giovani o anche perché il Tresor lo scrisse in francese, altra colpa gravissima, per il purista Alighieri? Ed ecco emergere, dalla pioggia di fuoco del Canto XV, un classico: la vendetta dello studente, fra agnizioni di amanti senza apostrofo a cavallo di potenti motociclette fuori da scuola e via calunniando.

Montaigne no, lui è un puro, forse perché la sorte gli ha regalato maestri altrettanto puri. Quindi non se la prende con la categoria, e fa un'unica raccomandazione allo studente che lo ascolta: leggi il libro del mondo e sii naturale. Facile a dirsi.

Andate a raccontarlo ad Hanno Buddenbrook, con quel bestiario di prof che ebbe, o al giovane Törless o a Thomas Bernhard, il quale giunse alla conclusione che le scuole superiori andrebbero abolite. Ma prima di abolirle, si studi a fondo la poesia di Arnfrid Astel dal titolo «Lezione». Dice così: «Ho avuto cattivi maestri./ È stata una buona scuola». Questa sì che è una lezione di vita.

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