Primo motivo per leggere il libro di Katie Mack, astrofisica teorica e cosmologa, La fine di tutto (Dal punto di vista astrofisico) (Neri Pozza): raccontandoci «I cinque modi in cui l'universo può finire», Mack affronta questioni in grado di distrarci, almeno un po', dai nostri problemini quotidiani, tipo dove trovare la farmacia per fare il tampone zero (e poi il cinque, e poi quello di fine quarantena...) al figlio, come evitare che le mascherine Ffp2 ci stacchino le orecchie, come interpretare lo «schema riassuntivo della gestione dei casi a scuola» (roba che neanche sulle lavagne dei colleghi di Mack a Cambridge) o capire se il nostro ciclo vaccinale sia «completo» (definizione articolata su più punti, alcuni cervellotici). Mack si interroga su cose come «il destino dell'intero universo», si spinge su quel terreno di ricerca che, benché la scienza voglia ben distinguersi dalla religione, si chiama escatologico e, quindi, lascia intravedere la domanda radicale: che senso ha tutto questo, e la mia vita in tutto questo? Dobbiamo continuare a portare fuori la spazzatura al giovedì se l'universo è destinato un giorno a morire? Devo rimuginare sul falso negativo se dopodomani mi crolla il mondo in testa?
Secondo motivo: La fine di tutto è molto divertente. Gli scenari, catastrofici, sono da film di fantascienza, e Mack ricorre spesso all'umorismo, oltre a mostrarci il lato affascinante dell'Apocalisse. Perché questo è: la fine di tutto ci sarà. Si tratta solo di vedere come, e Mack ci guida nei cinque percorsi ritenuti più probabili e/o interessanti al momento, perché anche le teorie sull'Apocalisse mutano, e seguono le mode. Ci racconta anche quali siano gli strumenti più all'avanguardia che abbiamo, o stiamo sviluppando, per queste ricerche. Comunque si può stare sereni: secondo i calcoli di Mack e sodali, gli esiti sono lontani almeno qualche miliardo di anni (imprevisti a parte, altrimenti torneremmo subito a concentrarci sui tamponi).
BIG CRUNCH L'universo si espande, dai tempi del Big Bang, come se avesse messo in atto un distanziamento galattico preventivo: «Qualsiasi punto dell'universo è il centro di quello che sembra essere una repulsione poderosa e uniforme... Dalla nostra prospettiva, tutte le galassie più distanti delle nostre vicine più strette stanno fuggendo da noi il più velocemente possibile». Non perché non si fidino, o siamo antipatici: «È la cosmologia». La domanda è: «Questa espansione continuerà indefinitamente o a un certo punto finirà, si invertirà e farà scontrare tutto?». Questo è il Big Crunch: la fine dell'espansione, l'innesto di una potente retromarcia - la «contrazione» degli addominali spaziali - e, infine, il collasso dell'universo su sé stesso. Rovina totale: scontri fra stelle e buchi neri, sistemi stellari scagliati nello spazio, getti giganteschi di particelle e radiazioni e, poi, la distruzione delle stelle stesse «e di ogni forma di vita planetaria eventualmente sopravvissuta» (per qualcuno, l'universo potrebbe rimbalzare dal Crunch a un nuovo Big Bang, ma che sopravviva qualcosa è tutto da stabilire). Gli scienziati però hanno trovato le prove che l'espansione non si sta affatto fermando, anzi: prosegue imperterrita. Ecco perché si passa al finale numero due.
MORTE TERMICA Si chiama «termica», ma le fiamme dell'inferno non c'entrano. Anzi. Nella sua espansione infinita, l'universo perirà in una lenta agonia di freddo, buio e solitudine. «Termico» si riferisce «al moto disordinato di particelle o di energia»: la conseguenza dell'espansione indefinita dell'universo e della seconda legge della termodinamica è che, alla fine, sarà «il disordine a ucciderci». La famosa entropia. Alcune galassie andranno perse, la nostra stessa galassia sarà sempre più isolata e, infine, «ogni nuova supergalassia morente sarà completamente sola». Nel corso di migliaia di miliardi di anni, le stelle svaniranno nell'oscurità, i buchi neri evaporeranno, le particelle decadranno. Anche il tempo cesserà: quando si giungerà alla massima entropia, non potrà più «succedere niente». Tranne, forse, la nascita di un altro universo...
BIG RIP L'immagine evoca, come Jack the Ripper, o come Cioran (dipende se siete più truculenti o più esistenziali), uno «squartamento» dell'universo, una lacerazione nell'espansione senza freni. Colpa dell'energia oscura, che causerebbe un'apocalisse «improvvisa e violenta», che «potrebbe strappare il tessuto stesso della realtà, lasciando senza scampo tutte le creature pensanti nel cosmo». Vi sembra eccessivo? È una delle ipotesi favorite dagli scienziati, benché l'energia oscura sia ancora, come suggerisce il nome, assai misteriosa (molto più della materia omonima). Le componenti planetarie inizieranno a disfarsi, le stelle a mutare le loro orbite fino a scomparire, le galassie a evaporare, finché tutto esploderà perché non riuscirà più a stare unito: perfino le molecole e ogni essere saranno strappati «atomo per atomo dall'interno». Il tessuto stesso dello spazio sarà strappato definitivamente. Il Big Rip non dovrebbe essere impellente ma, dato che qualche misurazione fondamentale ci sfugge, potrebbe in realtà accadere subito.
DECADIMENTO NEL VUOTO Ci sarebbe un piccolo «difetto di fabbricazione nel tessuto stesso del cosmo» che potrebbe mandare tutto all'aria «in qualsiasi momento». Qual è il problema? L'«instabilità intrinseca» del sistema e, in particolare, del campo di Higgs (quello del bosone): è grazie a lui - e al valore detto «vuoto di Higgs» - se il mondo delle particelle si trova in perfetto equilibrio e abbiamo un corpo ma, purtroppo, quel vuoto è «falso»; cioè, ce ne sarebbe uno migliore e, se l'universo lo scoprisse, correrebbe subito verso il «vuoto vero». Una bolla quantistica di vuoto vero inizierebbe ad espandersi e a travolgere ogni cosa, come un masso che causi una frana inarrestabile: «Rapido, pulito, indolore e capace di distruggere assolutamente ogni cosa». L'effimero portato all'ennesima potenza.
RIMBALZO È la teoria più stramba e divertente e, soprattutto, ha le sue probabilità (uno scienziato come Roger Penrose ne sostiene una versione). Si parla di «scenario ecpirotico», parola di origine greca che evoca una «conflagrazione», ovvero «una spettacolare collisione tra due brane tridimensionali adiacenti, una delle quali contiene quello che più tardi diventerà il nostro intero cosmo». Dopo l'incontro/scontro, le due brane vanno ognuna per conto proprio, dando vita a universi differenti, fino a che si riavvicinano, come un improvviso battito di mani cosmico e, a quel punto, si ricomincia, in un eterno rimbalzo di avvicinamenti, allontanamenti, nascite di universi, riavvicinamenti e distruzione. Vi ricorda Nietzsche? Già.
In più, con «l'allettante possibilità che l'informazione possa trasmettersi da un ciclo all'altro». Se ne potrebbe addirittura trovare la prova, nelle «onde gravitazionali primordiali». In questa «giostra cosmica», il Big Bang capita, e ricapita. Insomma è finita ma, forse, non proprio del tutto.
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