Le Cinque giornate e quella gloriosa lezione di libertà

Stefania Craxi

Dal 18 al 23 marzo sono i giorni dalle gloriose 5 giornate di Milano e per non dimenticare la ricorrenza ho inviato ai miei amici milanesi un libretto, il breve saggio che mio padre dedicò all’avvenimento. È un saggio scritto col cuore di un milanese e con l’intelligenza del politico che sa misurare col metro della storia l’importanza di un avvenimento. Da gran milanese qual era, Bettino amava di Milano ogni cosa, i monumenti, la storia, la gloria, la vita e il costume. Figurarsi la considerazione per le 5 giornate che hanno fatto di Milano la capitale morale dell’Italia. Nella fin troppo lamentata assenza di partecipazione popolare al nostro Risorgimento, le giornate di Milano spiccano per la corale presenza di cittadini di ogni mestiere e d’ogni sesso dietro le barricate e anche negli assalti alle roccheforti austriache. Questa partecipazione è documentata in un tagliente articolo con cui Carlo Cattaneo, animatore e mente politica della rivolta, risponde a un incauto scritto di un nobile che aveva vantato alla sua casta la cacciata degli austriaci dalla città.
Scrivo davanti alla verità della morte - replicava Cattaneo - davanti alla verità dei duecento e passa corpi di cittadini recati a morte da colpi di fucile o di baionetta. E continuava contando che tanti appartenevano alla classe dei falegnami, tanti a quella dei commercianti al minuto, tanti ai sarti, tanti agli osti, tanti ai servitori e così via; né mancavano le cameriere, le modiste, le fioraie. Di nobili - scriveva Cattaneo - ne ho contati solo due. Una verità inoppugnabile, la verità di un popolo disarmato che con le unghie e con i denti aveva battuto e liberato la città dall’imperiale esercito austriaco comandato dal più famoso generale asburgico, il generale Radetzky. Ma cacciati gli austriaci, Cattaneo entrò presto in conflitto con il governo provvisorio, che pensava di sostenere la libertà con le armi dei Savoia, illusione presto stroncata dal ritorno degli austriaci. Nel suo esilio svizzero, Cattaneo precisò in un libretto L’insurretion de Milan en 1848 il suo pensiero: la rivoluzione del ’48 era fallita per la politica della classe dirigente lombarda che, alleata alla corte sabauda, aveva rifiutato la libertà vera per cercare di ottenere un’indipendenza che doveva innanzitutto lasciare intatti i suoi privilegi. L’indipendenza non si poteva raggiungere se non per la via della libertà.
Come si vede il pensiero critico di Cattaneo è molto vicino al pensiero degli storici moderni sul nostro Risorgimento. Mi vien voglia di citare quanto detto da mio padre in un discorso a Madrid nella sede dell’Internazionale Socialista, un discorso che ancora oggi suscita polemiche. «I popoli, quando prendono coscienza della propria identità, rifiutano il dominio straniero e ancor più le occupazioni militari che si protraggono per decenni. Presto o tardi giunge sempre l’ora della ribellione e contro le ribellioni popolari non servono né l’arresto né l’uccisione dei loro capi né la demonizzazione delle élites politiche e delle organizzazioni militanti che interpretano la coscienza diffusa di un diritto e di una causa nazionale, anche quando esse si possono essere rese responsabili di tragici errori, e alla lunga, come la storia insegna, non serve neppure la superiorità dei mezzi militari».

Bettino parlava a favore dei palestinesi contro la persistente occupazione di Israele di territori arabi. Bettino era un nazionalista ma non uno xenofobo e riconosceva a tutti i popoli il diritto di essere nazione e di avere uno Stato.

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