Attualmente, in Italia, oltre il 40% dei lavoratori che pranzano fuori casa per motivi attinenti all’attività lavorativa usufruiscono del buono pasto quale titolo di legittimazione: le statistiche parlano di 3,5 milioni di lavoratori circa, suddivisi tra settore privato (2,8 milioni) e pubblico (700mila). Tutto sommato pochi (più o meno il 15% della platea potenziale), rispetto a una schiera di lavoratori (dipendenti, collaboratori e autonomi) che arriva a circa 24 milioni.
Un mercato in cui c’è molto spazio per crescere, anche se c’è chi lo vede "maturo". Che cosa frena questa crescita potenziale (nel 2023 è stato segnato un piccolo +5%) e che cosa, quindi, limita l’utilizzo di un beneficio, che - a detta di ogni indagine di mercato - è di gran lunga il preferito da parte dei lavoratori?
- Una larga parte dei lavoratori (soprattutto nelle realtà meno fortemente urbanizzate) torna a casa a mangiare nella pausa di lavoro
- La stragrande maggioranza delle imprese italiane sono piccole o piccolissime, quindi ritengono complessa la gestione di questo servizio, nonostante i vantaggi fiscali (che vedremo)
- La frammentazione degli esercenti (bar, ristoranti, alimentari, gastronomie, grande distribuzione…) rende non sempre facile l’incrocio tra domanda e offerta, con qualche polemica sulle commissioni chieste dagli emettitori (fino al 17-20%)
Quattro vantaggi
I buoni pasto si configurano come una conveniente e più flessibile alternativa al servizio di mensa aziendale gestito internamente e autonomamente dal datore di lavoro. Per tutte quelle imprese che non hanno la possibilità o non ritengono conveniente organizzare e allestire in proprio una mensa interna ovvero stipulare convenzioni dirette con gli esercizi pubblici adiacenti, la scelta del buono pasto può essere considerata come particolarmente vantaggiosa per una serie di ragioni:
- Ottimizzazione dei costi relativi al servizio di mensa; attraverso la rete di locali convenzionati l’impresa cliente può offrire ai propri dipendenti una vasta scelta di soluzioni (ristoranti, bar, gastronomie) per consumare il pasto durante l’intervallo lavorativo, eliminando, allo stesso tempo, tutte le spese necessarie all’allestimento e alla gestione di una mensa aziendale interna.
- Deducibilità ai fini IRES dei costi sostenuti per l'acquisto dei buoni pasto, in quanto inerenti all'attività d'impresa. I servizi sostitutivi di mensa, infatti, rappresentano uno strumento idoneo ad ottimizzare la produttività del lavoratore.
- Maggiore flessibilità nella gestione dell’intervallo lavorativo. Con il buono pasto si assicura una più efficace alternanza tra i lavoratori impiegati presso imprese che devono assicurare determinati servizi in fasce orarie destinate normalmente alla pausa pranzo. In queste ipotesi la gestione di una mensa interna sarebbe particolarmente gravosa per il datore di lavoro e poco funzionale per il dipendente.
- Vantaggio fiscale: l’erogazione del buono pasto per il lavoratore è esente da oneri fiscali e previdenziali - perché è erogazione di servizio, non retribuzione - fino all’importo giornaliero di 4 euro in formato cartaceo e di 8 euro in formato elettronico. L’area di esenzione non vincola il valore del buono pasto: cioè si possono emettere anche buoni pasto di valore superiore, ma oltre le soglie sono considerati retribuzione.
Gli interpreti del mercato sono quattro:
- i datori di lavoro che si impegnano a fornire di buoni pasto i loro dipendenti,
- le società emettitrici del titolo,
- gli esercizi commerciali erogatori dei servizi di ristorazione,
- i lavoratori, utilizzatori finali del buono pasto
Le società emettitrici, che si avvalgono di una più o meno vasta rete di affiliati/convenzionati, promuovono e vendono i buoni pasto ai datori di lavoro, che provvedono a somministrare gli stessi ai propri legittimati (lavoratori).
I lavoratori-utilizzatori ricevono la prestazione di servizi sostitutivi di mensa dietro semplice presentazione del titolo, che viene ritirato dal locale convenzionato e successivamente restituito alla originaria società emettitrice con contestuale emissione di fattura volta al riconoscimento di un corrispettivo.
Non è un diritto
Il buono pasto non è un diritto del lavoratore (durante lo smart working molte aziende hanno sospeso l’erogazione) ma è l’effetto di una contrattazione aziendale. La normativa ne definisce la natura di "single purpose voucher", ossia di un documento che garantisce il godimento di una sola prestazione, il servizio sostitutivo di mensa, secondo l’articolo 2002 del codice civile.
Gli esercizi convenzionati sono circa 170mila; nella quasi totalità si tratta di piccole e medie imprese. Le aziende e le pubbliche amministrazioni clienti sono 100mila. Le società emettitrici sono una decina, le prime tre fanno il 75% del mercato. Un oligopolio.
Proprio in queste settimane è stata avviata dalla Procura di Roma una inchiesta a carico di una società emettitrice di buoni pasto (in realtà il leader di mercato, la francese Edenred) per l’ipotesi di turbativa d’asta, in relazione a una gara pubblica avviata nel 2019. Ma nessuna conseguenza avverrà sulla spendibilità dei titoli emessi dalla società.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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