Dopo un'ulteriore proroga, la terza, della scadenza del contratto nazionale dei dipendenti bancari, ora posticipata fino al 31 dicembre 2023, si torna a parlare di raggiungere finalmente un accordo per determinare l'aumento che era stato già richiesto nei primi mesi dell'anno.
I sindacati Fabi, First, Fisac, Uilca e Unisin hanno inoltrato ancora una volta la proposta di 435 euro di incremento contrattuale: una somma decisamente pesante, anche se bisogna considerare il fatto che la cifra andrebbe spalmata su tre annualità, secondo una sequenza e una proprorzione non ancora definite. Ancora nessuna risposta è arrivata dalla controparte datoriale, pur intenzionata a chiudere definitivamente la questione entro la scadenza del contratto, che per il momento temporeggia e valuta la richiesta. In settimana è in programma un incontro in ristretta tra i leader delle diverse sigle sindacali interessate per far fronte comune e definire tutti i dettagli.
Per comprendere cosa potrebbe accadere è possibile sbirciare in casa Intesa Sanpaolo, principale player italiano che coi suoi circa 72mila dipendenti costituisce ben il 28% dell'intera platea degli interessati dalle prossime modifiche contrattuali. Stando a quanto riferito da Il Corriere, Intesa, che rientra nella delegazione Abi, diversamente dalle altre sigle ritiene perfettamente congrua la richiesta dell'aumento di 435 euro: e ciò in virtù dei solidi profitti iscritti a bilancio dagli istituti di credito e dell'attuale livello raggiunto dall'inflazione.
Era stato lo stesso Ceo Carlo Messina, in occassione del congresso della Fabi dello scorso giugno, a palesare la sua posizione dinanzi agli amministratori delegati delle altre banche ai vertici dell'Abi presenti all'evento. Fin da allora, quindi, il gruppo ha rotto gli indugi e rivelato apertamente la propria posizione sulla vicenda. Da un lato, quindi, Intesa ha tracciato un solco con gli altri rappresentanti, dall'altra prende parte al medesimo tavolo delle trattative tuttora in essere: magari non si arriverà a un contratto separato, ma siamo in presenza di un'evidente dicotomia di rappresentanza.
Questa frattura, che in realtà ha origini lontane, si può tuttavia spiegare in molto più semplice: non sentendo i suoi interessi tutelati dall'Abi, il gruppo non è uscito completamente dai giochi, ma è rimasto in equilibrio su due fronti, limitandosi a revocare all'associazione la delega sindacale. Ovvio che questa ambiguità crei un'atmosfera piuttosto enigmatica circa la questione relativa al rinnovo contrattuale.
Dinanzi a questa profonda spaccatura del mondo bancario, non inusuale quando a un tavolo si siedono piccoli e grandi gruppi, il modo migliore di agire, da un punto di vista sindacale, è quello di affiancare la contrattazione di secondo livello a quella nazionale. Così facendo è possibile da un lato instaurare relazioni industriali più prossime alle singole realtà e al mercato, ma dall'altro si corre il rischio di giungere a un primo livello che irrigidisce le relazioni nell'azienda e al contempo stravolge e indebolisce il Ccnl per via delle infinite deroghe.
Abi continua pertanto, ovviamente, a sperare di mantenere un fronte unico e compatto con la collaborazione di tutti, Intesa compresa, con l'obiettivo di ottenere un contratto collettivo nazionale unico e solido. Qualcuno dovrà abbassare la testa inevitabilmente, ragion per cui anche in questo caso auspicato la polvere sarebbe solo nascosta sotto il tappeto.
Se l'aumento di 435 euro non andasse in porto, Intesa andrebbe avanti con la contrattazione di secondo livello,
mantenendo l'impegno preso apertamente coi propri dipendenti, nel caso in cui la soluzione fosse accettata unanimemente, comunque, la posizione del gruppo non sarà di certo dimenticata dai 270mila lavoratori del comparto bancario.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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