Una recente sentenza della Corte di Appello di Milano (la numero 4256 del 9.6.2022) ha esplicitamente definito lo "stalking condominiale" come reato, condannando il colpevole a 8 mesi di reclusione, col beneficio della condizionale, laddove si può arrivare anche a 4 anni di reclusione. Un fenomeno che inizia a preoccupare per la sua estensione da ambiti più “passionali” (certo non meno gravi) ad altri, ritenuti meno “a rischio”. Cerchiamo di capire come si configura tale reato e in quali termini può essere gestito in ambito condominiale, trattandosi di situazioni in cui la “normale dialettica” viene trascesa gravemente.
Cosa dice la legge
Introdotto nel nostro ordinamento in tempi recenti, questo genere di situazioni è disciplinato dall’articolo 612 bis del Codice penale introdotto dal “Decreto sicurezza” convertito in legge nell’aprile 2009, che regola il reato per atti di persecuzione. Ciò, per punire chi, con condotte reiterate, “minaccia o molesta taluno in modo tale da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero di ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva, ovvero di costringere lo stesso a cambiare le proprie abitudini di vita”.
A riguardo, va citata una recente sentenza della Cassazione, sezione penale, (la numero 28773 del 12 maggio 2023 ), chiamata a pronunciarsi sul caso di tre condomini ritenuti colpevoli dal Tribunale di atti persecutori, lesioni personali e tentata violenza privata, ai danni dei condòmini vicini, tramite molestie e minacce di ogni sorta, al fine di rendere insopportabile la permanenza nella loro abitazione. Le vittime erano state tormentate con continui schiamazzi e rumori, molestate con i latrati dei cani, insultate e minacciate quotidianamente; avevano poi subito il danneggiamento dell'antenna della televisione, della porta d'ingresso dell'abitazione, del campanello dell'appartamento all'esterno della porta d'entrata (cui era stato dato fuoco); non bastasse, le loro autovetture erano state più volte prese di mira e danneggiate, ed erano stati esplosi dei fuochi d'artificio nei pressi del loro balcone. Condotte, queste, che hanno portato le persone offese ad un tale stato di paura, da installare un cancello davanti alla porta di ingresso dell'appartamento e cambiare lavoro.
Responsabilità penale dei fatti (per il reato di atti persecutori) confermata in appello, e avallata anche dalla Cassazione, che ha dichiarato inammissibili i ricorsi, condannando ciascuno dei ricorrenti a pagare 3.000 euro. Nell’esprimersi, la Suprema Corte ha anche evidenziato come l'installazione da parte delle vittime di un cancello in metallo a protezione dell’abitazione costituisse un riscontro oggettivo ed evidente allo stato di grave ansia e timore per la propria sicurezza, prodotto delle continue vessazioni subite.
A sottolineare le ricadute psicologiche di tali azioni, torniamo alla sentenza del Tribunale di Milano, citata in apertura: secondo i giudici meneghini, infatti, alla reiterazione degli atti è corrisposto nella vittima, “un progressivo accumulo del disagio che questi provocano, fino a che tale disagio degenera in uno stato di prostrazione psicologica”.
Altri modi in cui si esplicita il reato
Anche nelle convivenze condominiali, dunque, in cui la contiguità abitativa e le occasioni di incontro sono molto frequenti, la condotta dello stalker assume rilevanza penale e può delineare il reato di atti persecutori. Accusare pubblicamente in assemblea un altro condòmino, ad esempio, di aver sottratto soldi dalle casse condominiali, seguire il vicino all’interno degli spazi comuni, minacciare e aggredire verbalmente, ma anche bagnare (di proposito) le finestre d’acqua del condòmino mentre si annaffia, bloccare l’accesso all’ascensore, impedirgli il passaggio e minacciarlo, rientrano tra le condotte riferite a tale tipo di reato.
Possono inoltre configurarsi come stalking i comportamenti reiterati dal persecutore in un arco temporale di qualche mese, così da influire in modo determinante sulle abitudini di vita della vittima e costringerla ad evitare in tutti i modi di incontrarlo; conseguenza, la modifica dei propri orari di entrata e di uscita da casa, il cercare di abitarvi il meno possibile, costante stato d’ansia.
In aggiunta, la Corte di Cassazione (sentenza numero 20895 del 7 aprile 2011), ha stabilito che il reato può configurarsi anche ai danni di più persone residenti nello stesso condominio, anche quando gli atti persecutori siano diretti singolarmente a persone diverse, ma provochino ansia, paura, o modifiche alle condizioni di vita di tutte le altre.
Attenzione: per configurare lo stalking non basta un solo atto vessatorio nei confronti della vittima, ma occorre la reiterazione, (sentenza della Cassazione, sezione penale, numero 48391 del 24 settembre 2014). D’altro canto, per contestare il delitto di atti persecutori, sono sufficienti anche due solei episodi di minacce, molestie o lesioni, pur se commesse in un breve arco di tempo, non essendo, invece, necessario che gli atti stessi si manifestino in una prolungata sequenza temporale (altra sentenza della Cassazione, sezione penale, numero n. 33842 del 19 luglio 2018).
Esiste anche lo stalking condominiale per rumori molesti (come urla o rumori a notte fonda) quando superano il limite della tollerabilità (articolo 844 del Codice civile) e sono tali da turbare la serenità psicologica di chi li subisce.
Come tutelarsi
In caso si fosse vittima di stalking in ambito condominiale, le azioni da intraprendere per far cessare le molestie possono essere le seguenti: tentare una mediazione, invitando il molestatore a smetterla tramite raccomandata a/r, in cui si metterà in copia anche l'amministratore di condominio; rivolgersi alla questura, presentando un ammonimento presso la Polizia; qualora il questore ritenesse valida la domanda, potrà convocare il vicino stalker e ammonirlo verbalmente, informandolo di quello che potrebbe succedere se dovesse continuare con il suo comportamento; extrema ratio, la querela.
In questo caso sono però necessari testimoni, registrazioni e tutto quello che può dimostrare che gli episodi non sono isolati, ma continuativi. Sarà poi il giudice a stabilire quali misure adottare: potrebbe ad esempio intimare al vicino molesto di non avvicinarsi oltre 500 metri dalla vittima, se non, addirittura, di cambiare casa.
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