Il clandestino recidivo non può essere arrestato

Nino Materi

Il solco che divide il comune buonsenso dal garantismo giuridico può essere ampio quanto una voragine. La riprova viene da una sentenza della Cassazione che ha sancito il seguente principio: «Il clandestino recidivo che non ha ottemperato al provvedimento di allontanamento intimato dal questore, non può essere arrestato». Insomma, l’esatto contrario della richiesta che si leva dalla maggioranza dei cittadini: «È giusto arrestare l’immigrato che, nonostante i reiterati decreti di espulsione, si rifiuta di lasciare il nostro Paese». E invece no. La Suprema corte - contraddicendo un suo stesso pronunciamento di qualche mese fa - ha accolto il ricorso di Isabel M., una 24enne immigrata senza fissa dimora e senza un lavoro stabile nei confronti della quale il tribunale della libertà di Bologna aveva respinto la richiesta di sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari. Per il tribunale, la richiesta della difesa della clandestina appariva inadeguata a fronteggiare il pericolo di reiterazione del reato. Tesi bocciata ieri dalla Suprema Corte secondo la quale «lo straniero, già condannato per non aver volontariamente ottemperato all'ordine di allontanamento impostogli dal questore, non può essere arrestato in caso di recidività»; tutt'al più per lui «può soltanto disporsi il trattamento presso un centro di permanenza (Cpt)». Insomma, un extracomunitario privo di documenti e permesso di soggiorno (e che ignora ripetutamente l’ordine di espulsione della questura) può «al massimo» essere accompagnato alla frontiera o - se ciò non è possibile - «essere trattenuto in un Cpt». Ma, per lui, niente galera: sarebbe illegittimo.
A far decidere il tribunale della libertà di Bologna, il 21 febbraio scorso, per la custodia cautelare della giovane clandestina, le due precedenti condanne riportate per non aver appunto ottemperato al provvedimento di espulsione imposto dal questore che portavano a ritenere che la donna potesse reiterare il reato. La tesi è stata completamente smontata dalla prima sezione penale della Cassazione che, con la sentenza 19436, ha annullato senza rinvio l'ordinanza impugnata disponendo la liberazione della clandestina se non detenuta per altra causa. Spiega la Suprema Corte che «quanto all'ipotesi in cui lo straniero abbia già riportato una prima condanna per violazione dell'intimazione del questore» a lasciare il territorio nel quale è arrivato da clandestino, non è più possibile procedere a un nuovo arresto.
Una disposizione che «esprime l'intenzione del legislatore di ammettere quale unica forma di esecuzione del nuovo provvedimento di espulsione adottato nei confronti dello straniero recidivo quella dell'accompagnamento alla frontiera». E, qualora ciò non sia immediatamente possibile, secondo la Cassazione può soltanto disporsi «il trattenimento presso un centro di permanenza per i necessari accertamenti sull'identità e nazionalità del clandestino in vista dell'esecuzione coattiva del provvedimento».


Particolarmente critico il commento della Confederazione sindacale autonoma di Polizia (Consap): «Una decisione che compromette il già difficile e delicato meccanismo di contenimento e di controllo del fenomeno dell'immigrazione clandestina. L’impianto della legge Boss-Fini presentava delle falle, ora gli è stata data la spallata definitiva».

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