Cofferati vuole una Bologna a luci rosse

L’idea di fondo è che basti nominarli per curare ogni male. Sono i quartieri a luci rosse, invocati dalle amministrazioni come placebo per la piaga delle lucciole. L’ultimo a sostenerli è l’assessore bolognese Libero Mancuso, che ne ha perorato la causa al tavolo di lavoro sulla sicurezza aperto a Roma dal viceministro dell’Interno Marco Minniti.
La ricetta della giunta Cofferati per la lotta al degrado è semplice. Perseguire gli sfruttatori è difficile, tanto vale legalizzare il mercato del sesso. L’importante è non farlo sempre nella stessa zona, che poi i cittadini perbene si lamentano. «La prostituzione è un reato gravissimo - aveva dichiarato Mancuso -. Con la “zonizzazione”, può diventare un fenomeno solo volontario». Una magra consolazione.
Insomma, si tratterebbe di traslocare le centinaia di prostitute che esercitano lungo i viali in periferia, dove potrebbero essere «tenute sotto controllo» e protette da eventuali stupri e aggressioni. Recintando il fenomeno, si darebbe un’immagine meno degradata della città. Già, perché anche la rossa Bologna sta perdendo colpi e il sindaco Sergio Cofferati è finito nel mirino. Attaccato da sinistra per la politica sulla sicurezza e l’immigrazione clandestina, attaccato dai cattolici per aver patrocinato la blasfema «Madonna che piange sperma», attaccato per la lezione tenuta dall’ex brigatista Renato Curcio.
Ovviamente, la proposta dell’assessore non ha tardato a scatenare le polemiche, tanto da suscitare una smentita perentoria nella terminologia ma debole nei fatti: «Non ho mai parlato di quartieri a luci rosse - ha precisato Mancuso -, ma di zone isolate in cui convogliare a rotazione la prostituzione». La differenza è lieve.
Nonostante le polemiche, Mancuso non cede: «Chiederò al sindaco di portare avanti la proposta». La linea è ribadita: «Se la prostituzione non si può eliminare, almeno proviamo a governarla». Peccato che la giurisprudenza non sia particolarmente favorevole alle amministrazioni “protettrici”: dunque serve una legge nazionale che autorizzi i sindaci, così da non rischiare condanne per favoreggiamento della prostituzione.
Contro il provvedimento si è schierata la Cdl. «È sconcertante che si gestisca in modo amministrativo un reato», sbotta il segretario provinciale dell’Udc Maria Cristina Marri. Indignato anche Alecs Bianchi, consigliere comunale di «La tua Bologna», lista civica dell’ex sindaco Guazzaloca: «Mancuso cominci la zonizzazione sotto casa sua. Legalizzare il commercio delle ragazze è allucinante».
Già, perché la via indicata dall’assessore assomiglia a una resa: «Con questa idea pericolosa e becera si creano solo zone franche e sacche di degrado, senza combattere lo sfruttamento», replicano da An. Voce contraria quella di Paolo Nanni, consigliere regionale dell’Italia dei valori: «Sono d’accordo con i luoghi dell’amore - li definisce poeticamente -. Bisogna ricondurre il business che ne deriva a un controllo pubblico».
Una prospettiva controversa, che non tiene conto di come le esperienze internazionali non siano tutte rose e fiori (il quartiere di Sankt Pauli ad Amburgo è tra i più malfamati di Germania e Roppongi a Tokyo è stato per decenni in mano alla mafia Yakuza). Una prospettiva che non si discosta molto dalla riapertura delle case chiuse. Anche se - si affrettano a dire tutti - la legge Merlin non si tocca.
Bologna è solo l’ultima città in cui si è aperto il dibattito sui quartieri a luci rosse, in seguito al proliferare del degrado. Il prosindaco trevigiano Gentilini aveva proposto una sorta di ghettizzazione per porre fine agli incontri clandestini nelle vie della città. Il modello di De Wallen ad Amsterdam era stato rilanciato anche a Milano dagli assessori Maiolo e Sgarbi, mentre a Roma era stato il prefetto Serra a sostenere l’idea di «zone protette sottratte alla malavita e lontane dai cittadini stufi di assistere all’esibizione del sesso».


A Milano e a Roma l’idea fu bocciata. A Bologna, invece, forse andrà in porto, regalando alla città un turnover dei quartieri del sesso. Un po’ Pigalle a Parigi, un po’ Soho a Londra e un po’ Tenderloin a San Francisco.
Meglio cambiare, no?

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