Commozione, lacrime e rabbia per Gabriele

Commozione, lacrime e rabbia per Gabriele

«È morto un fratello. Allo stadio lo striscione sarà “Gabbo non suona più”. Ce l’hanno ammazzato, lui che era così solare, buono, generoso». Tensione e dolore, rabbia e profonda tristezza: cade giù pesante come il piombo che ha ammazzato Gabriele in un autogrill di Arezzo, la pioggia sulla folla degli amici del giovane dj e tifoso biancoleste, riuniti in piazza Euclide per l’ultimo abbraccio simbolico. C’è chi urla contro i giornalisti, chi allontana a spintoni fotografi e cameraman, chi grida o sussurra «poliziotti assassini». Chi convince gli ultras più esasperati ad allontanarsi, chi prova a mettere su una fiaccolata, ma poi rinuncia. Ma la maggior parte di loro ha soprattutto il volto bagnato dalle lacrime, la voce rotta dall’emozione, il viso cupo e gli occhi bassi di chi sa che non rivivrà più certi momenti. Hanno dai venti ai quarant’anni. C’è il popolo della notte che seguiva Gabbo nelle serate più cool delle disco di mezz’Italia, e quello meno glamour, più “maschio” ed essenziale dei supporters della Lazio. Un altro piccolo mondo in cui calarsi a capofitto per Gabri oltre a quello dei mixer e delle giornate passate dietro al bancone del suo negozio d’abbigliamento alla Balduina. «Scrivetelo, scrivetelo che Gabbo era uno perbene. Che aveva una famiglia d’oro. Che era uno brillante, di successo. Eccola, la vedete quanta gente c’è qua? C’abbiamo messo un attimo a radunarla con la catena degli sms. E non provate a dire che era un attaccabrighe, uno che cercava rogna». Un gruppetto fa muro coi giornalisti, un altro ragazzo, Eugenio, racconta: «Eravamo qua su questa stessa piazza, in quel pub, ieri sera, a bere. Gabbo non era un fanatico, amava il calcio, gli piaceva vedere e commentare le partite». Un altro mostra un poster strappato da un muro vicino Viterbo: «È l’ultimo ricordo che mi rimane di lui. L’ha staccato per farmi vedere la pubblicità del locale dove aveva lavorato venerdì sera. Ieri - continua - eravamo a pranzo insieme in un agriturismo di Vetralla. Era una specie di rito di noi amici “porcini”. Ogni sabato s’andava da qualche parte a mangiare, poi lui la sera andava al Piper a mixare la musica e il giorno dopo la Lazio. Ma io alle partite ho smesso di andare da un pezzo, troppi giochi di potere e violenza gratuita sulla pelle dei tifosi». Gabriele all’alba di sabato esce dal locale, va a casa giusto il tempo di una doccia ed è già nella Renault pronto per la trasferta a Milano. «In macchina dormiva sempre, era il suo modo per recuperare il sonno - dicono gli amici -. Abbiamo parlato al telefono coi ragazzi che erano con lui, c’era pure il fratello. Sono sconvolti. Non possono credere che per un paio di schiaffi e calci partiti dopo uno sfottò davanti al caffè, quel poliziotto abbia potuto sparare. Non c’era motivo. È assurdo». C’è chi ricorda quando l’ex ragazza venne ferita dal lancio di una bottiglia alla testa durante una partita di Coppa: «Gabbo alla vista di tutto quel sangue divenne una furia. Ma era comprensibile e solo allora volò qualche cazzotto». Da piazza Vescovio continuano ad arrivare amici. Dall’altra parte del Tevere, invece, scoppiano i primi tafferugli fuori l’Olimpico.

Nei pressi della Farnesina due pattuglie dei vigili urbani vengono bersagliate dai sassi: «La polizia ha battuto la ritirata e ci ha lasciato in balia dei tifosi in una domenica surreale», denuncia Gabriele Di Bella della Cisl. Anche a piazza Euclide nessuna divisa.

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