Il complotto contro la libertà usa sempre parole di miele

Dal romanzo di Philip Roth la miniserie che mette in scena l'ucronia inquietante di un'America che diventa filonazista

Il complotto contro la libertà usa sempre parole di miele

All'origine il concetto elaborato da Hannah Arendt di banalità del male era un concetto molto potente. Poi come tutte le idee, trasformato in frasetta da ripetere pro forma, ha perso mordente. Si dice, lo si usa come etichetta, ma non lo si rimastica per bene per vedere quanto male banale c'è in noi. O come questa banalità si declini nell'oggi, declinarla nello ieri dei tedeschi è troppo facile, non costa niente, quasi meno che abbattere una statua di Colombo.

Bene, la miniserie in arrivo su Sky Atlantic - in onda ogni venerdì alle 21.15 a partire dal 24 luglio e in streaming su Now Tv (tutti gli episodi saranno invece disponibili subito on demand) - e intitolata Il complotto contro l'America questa riflessione sul male aiuta a rifarla di nuovo. Questo prodotto Hbo, come ad alcuni risulterà chiaro sin dal titolo, prende le mosse da uno dei libri più belli di Philip Roth (1933-2018) e mette in scena una ucronia spaesante e terrorizzante. Spaesante e terrorizzante proprio perché parte in sordina.

Siamo nel giugno del 1940 nella cittadina di Newark, nel New Jersey, una famiglia di origine ebraica della middle class, i Levin, assiste quasi distrattamente allo scontro politico in corso per le elezioni presidenziali. Nella realtà a giocarsi la presidenza furono Franklin D. Roosevelt e Wendell Willkie. Nella serie ad affrontare Roosevelt è invece il popolare aviatore Charles Lindbergh che guardava con simpatia (è un fatto storico) al regime nazista.

Mentre i Levin quasi non ci badano - solo il capofamiglia Herman Levin si infuria quando sente i discorsi di Lindbergh alla radio - Lindbergh vince le elezioni. Del resto cosa dice alla gente? Che la pace è meglio della guerra, che non si deve giudicare cosa fa una potenza straniera, che c'è una bella differenza tra gli interessi degli americani e degli ebrei europei...

Va al potere una dittatura filo nazista a questo punto? No, il male è banale, ve lo ricordate? All'apparenza gli Usa si ritrovano in una situazione in cui tutti hanno solo da guadagnare, non sarà qualche fanatico degli ariani in giro per le strade a decretare come si vive in un Paese. Sono piuttosto i Levin che si sfasciano. La zia Bess (Wynona Rider), la donna con la mentalità più indipendente della famiglia, si mette con un rabbino, Lionel Bengelsdorf (interpretato da un John Turturro in stato di grazia) che appoggia la politica del presidente Lindbergh. Alla fine Lindbergh vuole solo normalizzare e rendere più americani tutti, in un Paese di immigrazione che male c'è? Sulla carta anzi è una bella idea, tanto che mentre l'America firma un accordo di neutralità con il Terzo Reich viene fatto partire un programma sociale chiamato «Just Folks» che prevede che i bambini di origine ebrea vengano mandati in vacanza nel mondo agricolo dell'America profonda per aiutarli ad integrarsi. A capo del programma viene messo come garanzia proprio lo stesso Bengelsdorf. E quindi la zia Bess fa sì che partecipi anche il nipotino Philip (in cui non è difficile cogliere l'alter ego dello scrittore Philip Roth)... Poi arriva l'idea di ricollocare gli ebrei proprio per farli sentire più americani. E poi nel 1942 scoppiano dei violentissimi pogrom che sembrano con evidenza andare al di là di qualsiasi cosa Charles Lindbergh avesse mai immaginato. La stampa lo attacca, il presidente prova a mettere un freno alle violenze, anche perché messo sotto pressione dal sindaco italoamericano di New York Fiorello La Guardia ma ormai sembra essere sopraffatto dagli eventi. E poi misteriosamente, mentre sta pilotando il suo aereo precipita, proprio mentre il Paese è spaccato in due...

Non sarebbe giusto rivelare al lettore il finale che è la parte che si discosta di più dal romanzo di Roth. Quel che conta è che Il complotto contro l'America fa vedere passo passo come si costruisca quella banalità di cui scriveva la Arendt. Lo fa costruendo personaggi non stereotipati e mettendo in luce come i discorsi della politica, o della cultura, possano facilmente armarsi di parole condivisibili per trascinare la massa verso cose tutt'altro che condivisibili.

La forza della serie Hbo, che non è un prodotto scoppiettante come molti di quelli che finiscono sul piccolo schermo ultimamente, è tutta nei dialoghi e in una narrazione che avvolge lo spettatore nelle spire di una normalità che diventa sempre più anormale.

Ovviamente poi si può prendere la serie e tirarla per la giacchetta politicamente. Ma è il modo migliore di fraintenderla. La serie serve semmai a farci vedere cosa succede quando si prendono concetti alti come la pace, la libertà o il senso di appartenenza a una Nazione e li si usa per cancellare la Storia o aizzare le masse.

Giusto una nota passando dall'ucronia alla realtà. Il vero Charles Lindbergh quando gli Usa furono attaccati a Pearl Harbour nonostante le sue precedenti simpatie per il Reich fece di tutto per tornare nell'aviazione.

All'inizio Roosevelt disse no ma alla fine il mea culpa del grande pilota risultò convincente. Addestrò piloti, compì 50 missioni abbattendo anche un aereo d'attacco nemico. Il male è banale, il bene sempre terribilmente complicato.

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