Il Comune fa l’imprenditore, il cittadino paga

Gian Maria De Francesco

da Roma

Una giungla di partecipazioni che determina un intervento dell’attore pubblico anche in settori che dovrebbero essere totalmente affidati al libero mercato. E che soprattutto implica una soprattassa virtuale per tutti i contribuenti. È questo, in sintesi, l’effetto prodotto nell’economia dall’universo di municipalizzate ed ex-municipalizzate fotografato dalla Adam Smith Society, dall’Associazione Nexus e dall’Istituto Bruno Leoni in sette Comuni (Bologna, Brescia, Genova, Milano, Roma, Siena e Torino) in un rapporto intitolato Convincere i riottosi che sarà presentato domani e che il Giornale è in grado di anticipare.
Ricchezze nascoste. Il valore delle partecipazioni controllate dai sette Comuni oggetto dell’indagine supera i 13 miliardi di euro. In molti casi si tratta di società attive nel settore dell’elettricità e dell’acqua nei quali gli enti locali continuano a detenere quote di maggioranza o a essere azionisti di riferimento. E che nel loro complesso hanno fruttato 600 milioni di dividendi nel 2004. Le cedole si sono aggiunte ai circa 2 miliardi di trasferimenti statali destinati alle sette città.
Energia e servizi. Roma ha il 51% di Acea, Milano il 43% di Aem, Bologna è l’azionista di riferimento della multiutility Hera con il 14%, Brescia possiede il 69% di Asm e Torino il 68,65% di Aem Torino. Considerato che Eni ed Enel vedono nello Stato il socio di maggioranza relativa, la prima conseguenza è che il mercato dell’energia in Italia è pressoché bloccato dalla coincidenza di interessi di tutti questi attori pubblici. Identico discorso si può fare per altri settori come quello idrico, della trattazione dei rifiuti e dei trasporti. Talvolta in situazioni di squilibrio economico. Un esempio su tutti è dato dal Comune di Roma che controlla il 100% di Atac (l’agenzia per la mobilità che governa i trasporti pubblici attraverso Met.ro e Trambus). Nel 2003 e nel 2004 sono state registrate perdite complessive per circa 230 milioni di euro. Ma i Comuni sono azionisti di minoranza di concessionarie autostradali (Genova, Milano, Brescia e Torino) oppure detengono quote di maggioranza di aeroporti (a Milano la privatizzazione della Sea non è andata in porto).
Lottizzazioni. La creazione di piccole Iri locali, denuncia il report, consente di tutelare «i vecchi equilibri di potere» a dispetto dello spirito delle riforme. In queste società, al di là di quanto accade a livello nazionale, trovano posto soggetti vicini alla coalizione politica di maggioranza.
Deficit di trasparenza. La creazione di società di capitali (spa, srl, eccetera) a controllo pubblico consente di rendere più complicato il controllo amministrativo sull’efficienza. Insomma, parte dei debiti possono essere scaricati su questi satelliti. Risalire ai bilanci, poi, è stato pressoché impossibile anche per gli autori dell’indagine. Salvo che si tratti di società quotate. Ma quanto più questa giungla si espande tanto meno lo Stato centrale potrà verificare il grado di autonomia dei singoli Comuni. Senza contare che in società dove il singolo ente appare azionista minoritario in realtà è il controllore grazie a tutta la serie di società che vengono messe in piedi.
Opportunità. A Genova, a Roma, a Milano le municipalizzate hanno spesso partecipazioni all’estero. Bisogna poi ribadire che alcuni Comuni partecipano a centrali del latte, enti fieristici e centri congressi e ad altre società di formazione. Si tutela anche così l’interesse della cittadinanza?
Modesta proposta. Gli autori dell’indagine propongono pertanto di rettificare i trasferimenti statali ai Comuni con un fattore che tenga conto dei dividendi percepiti. Le somme risparmiate potrebbero essere destinate per ripianare il debito pubblico o incentivi per coloro che dicono sì alle opere strategiche sul proprio territorio o per altri incentivi come i «buoni scuola».
Lampioni spenti. Quando l’ex ministro Tremonti nell’ultima Finanziaria ridusse i trasferimenti ai Comuni, molti sindaci si lamentarono sottolineando che avrebbero dovuto spegnere i lampioni.

Nel 2004 lo Stato ha trasferito alle città oltre 13 miliardi, ma le spese sono in crescita nonostante il rigore imposto. Gli enti locali dispongono di un patrimonio immobiliare del valore catastale di oltre 100 miliardi di euro e di una serie di piccole Iri. E se ne spegnessero qualcuna?

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