Ripoli Santa Cristina (Bologna) - «Bastardi, fate schifo, andatevene via di qui». Strane impennate di latitudine e di coscienza se all'improvviso da quattro case, che bisogna proprio andare a cercare qui, nell'Appennino emiliano, esce alle dieci di sera una folla inferocita che si raggruppa come fossimo a Scampìa. E comincia a rumoreggiare e a minacciare per impedire ai giornalisti e alle telecamere di riprendere l'uscita a capo chino di Annamaria Franzoni. Di inseguire, di cercare con l'obbiettivo le lacrime che rigano il suo viso di sconfitta. «Se vi azzardate a riprendere i bambini vi tagliamo le gomme». Eppoi ancora: «Forza venite lì nel campo e ve la facciamo pagare». «C'è l'inviato della Stampa? Dov'è, alzi la mano se ha il coraggio dopo le porcherie che ha scritto su di noi e su Annamaria».
I toni si alzano sempre di più, le distanze si accorciano fra i giornalisti sfatti dalla snervante attesa (lunghi i saluti ai figli) e i compaesani della Franzoni, materializzatisi dal nulla dopo una giornata trascorsa come talpe dietro le imposte. Ore 23.15: i carabinieri hanno appena eseguito l'ordine di cattura, ovvero il biglietto di ritorno definitivo in carcere, deciso dalla Cassazione. Sedici anni di pena confermati. Destinazione: il carcere della Dozza di Bologna. Il gelo che forse spiega, ma non giustifica, quegli insulti che ci sentiamo gridare tutt'attorno. Alla fine, oltre alle spinte, volano gli schiaffi e a farne le spese è l’inviato di Sky Flavio Isernia: «Ora basta - urla una donna - sono sei anni che va avanti così. Cosa volete che vi diciamo, che ci dispiace?».
Irreale questa lunga giornata. Ad una certa ora, le sette o poco più, erano persino comparse sui davanzali anche le candele della speranza, della preghiera. Uniche luci nel buio dell'incertezza, del dubbio. Di un piccolo borgo che alza il muro sodale dell'amicizia. Due ore dopo, alle nove, il refolo di un vento gelido. Temuto e quindi esorcizzato. Nella giornata più lunga. Che arriva a far tremare, a spegnere quasi, quelle fiammelle. A infrangere le speranze. A sconvolgere i piani di una donna, di una famiglia... Persino il prete amico chiude la porta in fretta dietro le spalle, al rientro dal rosario mariano che come ogni sera, come ogni maggio ha appena finito di sgranare con il manipolo delle fedelissime al Santuario di Serra. Don Marco Baroncini, il parroco detective, il parroco che ha sempre creduto nell'innocenza di Annamaria, non ha più voglia di parlare.
Eppure fino all'altro giorno aveva tessuto come sempre la tela del rispetto e della dolcezza nei riguardi di Annamaria: «Io non posso dirvi nulla ma il momento è delicato e una persona può vivere questo momento con difficoltà». Rimbombano ancora una volta le parole di Annamaria: «Non ho ucciso il mio piccolo Samuele e non avrò giustizia fino a quando l'assassino non verrà identificato. In questo momento, però, sono molto preoccupata soprattutto per i miei bambini, ancora piccoli. Penso al carcere come a un provvedimento ingiusto, e il peso maggiore, in questa eventualità, ricadrebbe proprio sui ragazzi costretti a crescere per un lungo periodo lontano dalla mamma». E mentre i carabinieri l’accompagnano verso l’auto e i figli piangono e la implorano: «Non andare via», Anna Maria riesce solo a mormorare: «Che fate? E ora i miei bambini?».
Strana attesa quest'attesa che si è sfilacciata nella giornata più lunga. Il cielo sopra il rifugio della «mamma di Cogne» che è una cappa di piombo. E poi il sole, che riesce finalmente a filtrare da una breccia tra i colli, solo quando è già tardi. Solo quando compaiono, all'imbrunire appunto, le prime candele sui davanzali.
Scriviamo queste righe accovacciati tra le auto dei carabinieri. Alzando gli occhi per guardare per l'ennesima volta dentro quella casa color ocra, al numero 5, di via Borgo Vecchio, il budello in discesa che va a spegnersi, contro le speranze di Annamaria.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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