Confalonieri: "Lo sprint di Berlusconi ha sorpreso pure me"

un giorno con il presidente di Mediaset. Il viaggio a Tunisi. La nuova tv del Maghreb creata con Tarak Ben Ammar. Il set dove Tornatore sta girando Baaria. Poi una confidenza: "Mai pensato di fare politica. c'è un amico che lo fa già molto bene"

Confalonieri: "Lo sprint di Berlusconi 
ha sorpreso pure me"

Tunisi è senza dubbio una vecchia canzone. In testa ti rimbalza una strofa di Battiato. Confalonieri parla di qualcosa che non conosci. È un pezzo jazz: Moonlight in Vermont. Andrebbe sentita nella versione di Ella Fitzgerald e Louis Armstrong. Ti chiede cosa stai ascoltando nell’iPod. Amy Winehouse. Back to Black. Dice: «Non è roba per me. Ormai ascolto soprattutto musica classica». Un anno fa ha chiuso un’avventura lunga mezzo secolo. «Alla mia età ho preso il diploma di pianoforte al conservatorio. Era un’incompiuta. Mi ero fermato all’ottavo anno. Non ho mai smesso di suonare». Lo fa ancora: almeno un’ora al giorno. «Di più non posso. Non c’è mai tempo». La musica è la colonna sonora di questo viaggio. Ogni volta che può Confalonieri tira fuori una rimembranza, un’associazione di idee musicale, un romanzo, una partitura, un ricordo. E quando vede un pianoforte in un albergo è quasi tentato di metterci su le mani. Appunto. Non c’è mai tempo. Questa lunga chiacchierata comincia in volo. E ancora non hai capito quale sia il punto d’arrivo.

Si atterra fra dieci minuti. Quello laggiù, sotto l'orizzonte, è il Maghreb. Le mani sfogliano velocemente un giornale. Lo sguardo di Fedele Confalonieri si ferma un attimo sull'arresto della Franzoni. Poi passa oltre. «Non voglio crederci. Non ce la faccio a concepire l'idea di una madre che ammazza il figlio». L’Hawker 800 dell'azienda balla un po’. Confalonieri chiede: «Hillary Clinton spera ancora di battere il ragazzone nero?». Carlo Rossella, uno con anni di corrispondenza da Washington, è lì, accanto a lui sull'aereo, e snocciola le possibili combinazioni. In pagina c'è una foto di McCain. Tutti ripetono la stessa frase: «Non mi convince». I dieci minuti sono passati.
Tunisi è una città dilatata. Strade larghe, dove le case basse sono separate da spazi bianchi di cielo e terra arida. È come se tutto fosse artefatto e un po' irreale. L'auto corre e sui marciapiedi, o ai crocicchi dei semafori, la gente, vestita con abiti occidentali arrivati dal passato, cammina lentamente, quasi ferma, come statuette di un presepe. È qui che nasce Nessma, la tv magrebina. Il motivo per cui Confalonieri è atterrato a Tunisi. L'ultima scommessa di Mediaset è dall'altra sponda del Mediterraneo, qui con Tarak Ben Ammar hanno messo su questa nuova televisione satellitare, una sorta di ponte tra le due rive del vecchio mare. L'appuntamento non è molto distante da quel lago salato, simile a una grande pozzanghera, che si trova alle porte della città. Davanti all'Hotel, che ricorda l'idea hollywoodiana di una antica villa romana, c'è una pattuglia di giornalisti che chiacchierano in un francese dal suono gutturale.

Confalonieri intanto sta parlando di immigrazione. «Non mi sento assediato. Quando guardo per le strade di Milano gente che viene dall'Africa o dall'Est, da Bucarest o da Tirana, penso che questi sono i nuovi terroni. È una storia che già conosciamo e non ci deve fare paura. È stata la ricchezza del nostro Paese. Io penso da milanese. E Milano è da tempi lontani una città accogliente. Qui tutti quelli che arrivano prima o poi si sentono a casa. Giuàn Brera in Mille e non più mille scriveva che il Medioevo a Milano finisce nel 1018 con l’editto di Ariberto da Intimiano: «Chi sa lavorare e viene a Milano è un uomo libero». E chi non sa lavorare? «Dipende. Se ruba è un ladro. E i ladri devono stare in carcere».

I giornalisti tunisini sono preoccupati per la nuova tv. Non sanno che pesce è. Fanno domande su domande. Qualcuno teme la deriva da Grande Fratello. Altri difendono un’idea di identità. Cattiva maestra la televisione. È una storia che Confalonieri ha già sentito un migliaio di volte. «La televisione uccide la cultura? Baggianate. Qualche volta tende a essere un po’ superficiale. Leggera. Ma non serve a nulla trovare un capro espiatorio per un mondo che sta cambiando. Il mio maestro delle elementari aveva un prestigio sociale che oggi non c’è più. Quando passava per strada lo chiamavano sciur maestro e si toglievano il cappello. Io devo tanto ai miei insegnanti. Mi hanno fatto scoprire mondi, che non ho mai smesso di frequentare. Mi hanno attirato con la curiosità. E come diceva Hobbes: la curiosità è la lust of the mind, la lussuria della mente».

Tunisi è pulita. Ti fa arrossire se ricordi l’Italia. Non solo Napoli. Non ha mai pensato di fare politica? «Qualche volta sì, ma ho già un amico che la fa molto bene». Come si sta muovendo? «Mi ha perfino sorpreso. È deciso. Le prime mosse sono un segnale di forza. Il Paese ha paura e lui sta cercando di scacciarla. Sta ristabilendo un principio di responsabilità. C’era un clima da ’19, un caos pre-sansepolcrista, quel disfattismo, quell’incertezza che può scantonare in derive totalitarie. Berlusconi sta dimostrando invece tutta la forza della cultura democratica, un leader che non ha paura di ristabilire la legalità, senza salti nel vuoto. È un freno al razzismo». La risposta non può essere l’antipolitica. «Ieri c’era Masaniello, oggi è Grillo. Ma è una malattia che passa. Travaglio? È un Saint Just della mutua. Non può tagliare teste, ma sputtana la gente in televisione senza contraddittorio».

L’ultima tappa è in una città senza luogo. Si va a Bagheria, ma in un tempo lontano. È quella Baarìa che Tornatore ha voluto ricostruire proprio qui, in calce e cemento, tirata fuori da una fotografia perduta, una madelaine, un luogo dell’anima che solo il cinema qualche volta ti permette di ritrovare. Qualche volta. Solo che per arrivarci bisogna attraversare il centro di Tunisi. La città è bloccata. Il Club Africain ha vinto lo scudetto. Sono rimasti in bilico fino all’ultimo. Come l’Inter. Viene in mente a qualcuno. «Vuole festeggiare anche lei?». Già fatto. A Milano. Confalonieri scopre di avere un clandestino a bordo.

Si va verso il cuore di un quartiere impazzito. Il rumore dei clacson cancella ogni suono, ragazze vestite con magliette rosso e bianche sorridono dal cassone dei camioncini, una marea di auto controcorrente. Il calcio parla sempre la stessa lingua. È un viaggio a ritroso, mentre Tunisi sfoga la sua voglia di modernità.
Oltre tutto questo c’è il set dell’ultimo film di Tornatore.
È la sua Bagheria, strade bianche, caffè con i tavolini all’aperto, il negozio di carnezzeria con polli e vitelli appesi ai ganci, 600 Multiple e una Lancia Aurelia azzurrina. È la città perduta. Il regista ricorda ogni angolo. Qui c’era la panetteria. Questo è il primo meccanico del paese, un garage con i copertoni appoggiati al muro e le pareti sporche di grasso. È uno scambio di ricordi, sottovoce. Confalonieri e Tornatore parlano e l’unico suono che arriva è il Mediterraneo, che si guarda allo specchio. Tutto in una strada, da una parte la chiesa, dall’altra il mare. In mezzo la metamorfosi che Tornatore sta raccontando.

Sta scendendo la sera. Confalonieri è quasi commosso. Guarda questa città invisibile, pensa a Calvino, agli anni andati via, a una vita che correva a un’altra velocità. Pensa a questa Italia a misura d’uomo che forse non c’è più. Ma non è nostalgia. È una questione estetica. «Com’erano belle le nostre città. Sono state violentate e deturpate. Ed è un po’ colpa anche di certi architetti. Come agli attori dei tempi di Molière dovrebbero negargli la sepoltura nei cimiteri. I grattacieli? Sono belli a New York, quando sono tanti e formano uno skyline. Da soli, presi a uno a uno, sono un po’ brutti. Come si fa ad accostarli a Santa Maria delle Grazie?».

Qui, in questo spazio ambiguo tra Tunisi e Bagheria, il sole sta calando sotto l’orizzonte. Il suono del muezzin rende l’atmosfera un po’ troppo malinconica.

Confalonieri canticchia Night in Tunisia un vecchio pezzo di Dizzie Gillespie. Qualcosa che ha a che fare con questo tramonto. Ci vorrebbe un pianoforte. Ma la finzione del cinema questa volta non aiuta. È ora di andare. L’Europa è solo a un’ora da qui.

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