"Così abbiamo inventato il revenge movie all'italiana"

"Il mio nome è vendetta" è diventato un successo internazionale di Netflix. Il regista ci spiega come

"Così abbiamo inventato il revenge movie all'italiana"

Dopo tre settimane di presenza fissa nella classifica dei film non in lingua inglese su Netflix, Il mio nome è vendetta, diretto da Cosimo Gomez con Alessandro Gassmann e Ginevra Francesconi, è diventato il primo titolo italiano a entrare nella Top Ten globale di quelli più visti di sempre sulla piattaforma streaming. Il film, prodotto dalla Colorado Film di Maurizio Totti, Alessandro Usai e Iginio Straffi, scritto da Sandrone Dazieri, Cosimo Gomez e Andrea Nobile, alla sua quarta settimana di permanenza nella classifica ha aggiunto altre quattro milioni di ore di views in 91 Paesi (è questo l'unico dato che la piattaforma di streaming diffonde) raggiungendo quindi l'impressionante monte ore di 67,2 milioni di visualizzazioni che lo hanno portato ad entrare al decimo posto della classifica di tutti i tempi. Per capirci, il film italiano più visto prima è stato Yara di Marco Tullio Giordana che aveva raggiunto solo 37,8 milioni totali di ore di views. Il mio nome è vendetta appartiene al genere del cosiddetto revenge movie con un perfetto Alessandro Gassmann, ex sicario, nascostosi nelle montagne del Nord per fuggire al suo passato. Ma la 'ndrangheta non perdona e si ripresenta uccidendogli la moglie. Ecco che scatta la sua vendetta complice anche la giovane figlia: «È un enorme successo, sorprendente e inaspettato, perché eravamo convinti che sarebbe piaciuto ma certo non ci aspettavamo questo riscontro senza precedenti per un film italiano», dice il regista Cosimo Gomez al suo terzo film dopo Brutti e cattivi del 2017 (visibile su Rai Play) e Io e Spotty uscito lo scorso luglio al cinema con un incasso di soli cinquemila euro.

Come si spiega queste differenza tra la sala e le piattaforme?

«Gli altri due film sono di taglio diverso e in effetti hanno avuto un pubblico molto minore. Oggi purtroppo la proporzione tra i possibili spettatori al cinema e sulle piattaforme sembra un po' questa. Aggiungiamoci pure che i mezzi avuti a disposizione per girare per Netflix sono stati di gran lunga superiori a quelli per il cinema».

E non si sente un po' in colpa? Paolo Sorrentino recentemente ha dichiarato che ora vuole tornare a fare film solo per il cinema.

«Ma scherziamo? Queste operazioni dovrebbero essere le benvenute perché portano in tutto il mondo un progetto italiano. Per non parlare del fatto che l'Italia è sinonimo di provincia dove ci vive più della metà della popolazione e lì le persone più anziane, per esempio, in sala non ci possono andare. Ma poi c'è veramente così tanta differenza tra vedere l'anima di un autore in tv o in sala? Io ho visto qualche film di Sorrentino, che è l'italiano che stimo di più, sulla piattaforma e mi sono emozionato esattamente come con quelli in sala».

Non si starà montando la testa?

(Ride) «Figuriamoci, il mio vantaggio è aver esordito al cinema dopo i 50 anni, rimango con i piedi per terra».

Molte nazioni hanno girato il loro revenge movie, qual è la formula del successo del vostro?

«Forse l'averlo pensato come il tipo di film che ci piace vedere in tv. Ossia intrattenimento puro con in più qualcosa di nostro».

In che senso?

«Qualcosa di mediterraneo come il rapporto molto forte tra un padre e la figlia, un archetipo in cui tutti si possono riconoscere. Quindi azione pura ma con una storia calda e volutamente sentimentale che credo abbia fatto scattare qualcosa negli spettatori. In questo senso i due protagonisti funzionano perfettamente insieme. Si è creata una grande chimica che è un'altra delle ragioni di questo successo. Grazie al loro apporto creativo e ai loro suggerimenti abbiamo anche cambiato i dialoghi».

Netflix vi ha dunque lasciato molta libertà?

«Durante le riprese non li ho mai visti mentre al montaggio ci sono stati molti scambi. Mi hanno dato delle suggestioni anche molto importanti che io, a volte sì e a volte no, ho seguito».

Come avete lavorato sulle scene d'azione abbastanza inedite per il nostro cinema?

Siamo partiti realizzando, come fanno all'estero, gli storyboard per quasi tutte le scene del film. Poi ho seguito la lezione del mio amato Tony Scott inframezzando le grandi scene d'azione con i primi piani fondamentali per emozionarti e avere paura allo stesso tempo».

Ttutto è pronto per il sequel...

«Il finale l'abbiamo girato lasciando questa possibile apertura ma non c'è ancora la cosiddetta luce verde di

Netflix. Certo grazie al successo ora è tutto più facile e sia io che altri sceneggiatori abbiamo già molte idee su come andare avanti con il personaggio di Gassmann che, nonostante gli abbiano sparato, è ancora vivo...».

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